ROBERTO GRIMALDI
Cronaca

Dossier illegali, parla Sghedoni: "Pedinato e intercettato . La mia privacy è stata violata"

L’ex ad di Kerakoll: "Hanno fotografato di nascosto anche mia moglie e i miei figli. Perché? Forse erano alla ricerca di un punto debole. E’ stata un’esperienza inquietante"

La sede della Kerakoll a Sassuolo

La sede della Kerakoll a Sassuolo

Modena, 11 giugno 2025 – Dopo cinque anni di silenzio dalla sua uscita da Kerakoll e dopo il caso dei dossier illegali che l’hanno visto vittima, l’ex ad di Kerakoll Gian Luca Sghedoni, figlio del patron dell’azienda Romano, ha deciso di parlare.

Sghedoni, per lei come è cominciata la vicenda?

"Tre anni fa venni chiamato da un magistrato torinese, che mi fece vedere tre faldoni di materiale. Non credevo ai miei occhi: c’erano centinaia e centinaia di fotografie scattate di nascosto che ritraevano me, mia moglie, i miei figli, di cui uno minorenne, nei momenti più disparati. Al mare, in auto, a casa di amici, mentre mia moglie fa la spesa, mentre faccio jogging, mentre i miei figli fanno sport o sono in bicicletta al mare con le fidanzate. Hanno prodotto plurime relazioni di “osservazione, sopralluogo, pedinamento e controllo”".

Come si è sentito?

"Hanno violato la mia privacy, lo considero grave, è come se ti avessero rubato la libertà. L’accesso illegale ai dati dei cittadini è inaccettabile. Ho provato un senso di grande inquietudine. Non è una sensazione piacevole sapere di essere stato pedinato e fotografato per mesi, ovunque andassi, io o uno dei miei famigliari. E soprattutto non riuscivo a capire il perché".

Che spiegazione si è dato?

"Difficile dare una risposta. Mi è sembrato un metodo volto a costruire un dossier completo, alla ricerca di un mio punto debole".

All’interno dei dossier oltre alle fotografie cos’ha visto?

"Sono entrati nei miei colloqui via Whatsapp o via mail con amici, collaboratori ed ex colleghi in Kerakoll, con i miei avvocati, commercialisti e consulenti finanziari. Hanno passato al setaccio le mie società, in Italia e all’estero, e le mie proprietà immobiliari".

Lei era tenuto a rispettare accordi di non concorrenza?

"Assolutamente no, chi mi intercettava, oltre a non averne il diritto, non aveva anche nulla di illecito da scoprire, visto che non ero vincolato da alcun patto di non concorrenza quando sono uscito da Kerakoll".

Sulla sua uscita da Kerakoll, avvenuta nel 2020, si è parlato tanto, ma la sua versione non l’ha mai raccontata.

"E’ molto semplice. Mio padre Romano Sghedoni aveva costituito un trust, un fondo fiduciario a mio favore per assicurare il futuro dell’azienda, ma poi ha deciso di stracciarlo. E ha deciso di dividere le quote alla pari tra me e i miei fratelli. Con mio fratello e mia sorella coalizzati, io sono stato messo in minoranza. Mi hanno detto che la famiglia doveva fare un passo indietro all’interno dell’azienda, io avevo fatto il mio tempo e occorreva un amministratore delegato esterno, Remotti, per dare un assetto più “manageriale” a Kerakoll. A quel punto non potevo più restare".

Ora cosa fa?

"Ho costituito insieme ai miei figli un family office e facciamo investimenti finanziari e operazioni di M&A principalmente nel settore moda e in aziende Hi-Tech. Lo scorso dicembre abbiamo acquisito un’azienda innovativa che produce gel adesivi di ultima generazione per ceramiche, Litokol di Rubiera. Stiamo lavorando bene".

Le è dispiaciuto uscire da Kerakoll?

"Due sono i motivi di amarezza: il primo è non avere potuto completare il progetto che avevo in mente per il futuro di Kerakoll, il secondo è avere la sensazione di aver tradito le tante persone di Kerakoll che avevo assunto in trent’anni. Anche se è stata una decisione che sia io che loro abbiamo dovuto subire. Per diverso tempo mi sono portato dietro questa brutta sensazione".

Ha mai sentito qualcuno della sua famiglia sulla vicenda del dossieraggio illegale?

"Nessuno, neanche una telefonata"