Ecco la svolta Parlamento in ritardo

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Luca

Vespignani*

La pronuncia in questione arriva al termine di un percorso nel quale la Corte costituzionale ha progressivamente sancito l’illegittimità costituzionale dell’attribuzione automatica del cognome del padre ai figli. In particolare, con una sentenza del 2016 essa aveva già stabilito che, pur rimanendo l’automatismo, si potesse aggiungere anche il cognome della madre e dopo l’ultimo intervento della settimana scorsa sappiamo dal comunicato diffuso dal suo ufficio stampa e comunicazione che la regola diventa quella della doppia intestazione, fatta salva una diversa volontà parentale. A questo risultato si arriva in considerazione del diritto all’identità personale, con riferimento alla possibilità di dar conto di entrambe le provenienze familiari nel cognome, del principio di eguaglianza senza distinzioni di sesso, per quanto concerne il concorso partitario dei genitori nella scelta, e della normativa contenuta negli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tutto ciò mentre in Parlamento pendono in proposito sei progetti di legge e dopo una lunga inerzia del legislatore nonostante le ripetute sollecitazioni della Consulta. Quello che si è inteso superare è un modello ereditato dal diritto romano in cui va senz’altro riconosciuta una matrice patriarcale, sebbene si possa forse ritenere che esso abbia nel corso del tempo acquisito una valenza soprattutto funzionale all’obiettivo di risalire con facilità alla famiglia di appartenenza di una persona. Ma decisivo per la dichiarazione di incostituzionalità è stato probabilmente il significato simbolico di tale soluzione, in coerenza con l’attenzione sempre maggiore riservata agli aspetti anche strettamente formali delle problematiche di genere. Il che è certamente importante sul piano dell’evoluzione culturale purché non induca ad abbassare la guardia sui molti nodi che ancora attendono di essere affrontati sotto il profilo sostanziale.

*Docente Diritto costituzionale Unimore