«Essere un loro punto di riferimento non è ‘buonismo’»

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«ORMAI sulla via della pensione avevo il desiderio di fare qualcosa nel mondo del volontariato, così, per caso, ho visto una pubblicità del ministero che spiegava il percorso del tutore volontario. Ho inviato una raccomandata alla Regione per partecipare alla selezione ed oggi sono impegnata a cercare una squadra di cricket per il ragazzo pakistano, che vive in una comunità, ma che seguo proprio come se fossi un genitore». A raccontare la sua esperienza è Nadia Artioli, lei è tra i cittadini che, appunto, hanno deciso di aderire a questa forma di accoglienza di cui probabilmente si parla ancora poco.

«HO INIZIATO questo percorso alla fine del 2017 , seguendo il corso specifico al centro serivizi per il volontariato, che si è concluso lo scorso anno e che mi ha portato a poter seguire appunto questo giovane. Come tanti altri, ha affrontato un viaggio molto lungo e difficile per arrivare fino a qui – aggiunge Artioli – e il mio compito ora è cercare di fare in modo di poter mettere a sua disposizione ciò di cui ha bisogno in questo percorso di inserimento nel nostro Paese. Recentemente ha superato il test linguistico di italiano e ora si è iscritto ad un corso biennale alla Città dei Ragazzi. Non vive in casa nostra, ma lo sento tutti i giorni, proprio come un secondo figlio. Lo sento tutti i giorni via telefono e appena c’è la possibilità ci vediamo. Mi manda dei messaggi video per dirmi che ha vinto una partita di cricket, oppure per farmi sapere che ha perso. Insomma, è un’esperienza che merita. Credo che per lui sia importante sapere di poter contare su qualcuno al di fuori della comunità, su un appoggio. Sa di non essere solo e per giovani che arrivano nel nostro Paese spesso dopo esperienze molto difficili credo sia molto importante».

ARTIOLI, commercialista, sottolinea anche di non aver nulla a che vedere «con il concetto di ‘buonismo’, è un termine che non mi appartiene. Qui la questione è un’altra. Ho studiato scienze politiche ad indirizzo sociologico, ora mi sono iscritta a ad antropologia e storia contemporanea, le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno. Credo che darsi da fare sotto questo punto di vista sia importante e che anche il giovane che arriva in un contesto completamente nuovo sia soddisfatto di avere un appoggio, di non sentirsi completamente da solo. La prossima settimana stiamo organizzando una cena secondo la cucina pakistana e cucinerà lui. Verrà anche mio figlio che ha trentasei anni ed è contento di questa esperienza. Contemporaneamente, mentre cerco di fare in modo che il ragazzo del quale sono diventata tutrice impari al meglio l’italiano, lui stesso mi fa scoprire la cultura pakistana. Ripeto, è un’esperienza che merita e che dà molto non solo al giovane straniero, ma anche al tutore volontario stesso. Perché sottolineo che il tutore aderisce al progetto in modo completamente volontario, non riceve alcun fondo per questo», conclude Artioli.

f.v.