Faida per gestire la prostituzione: gli sfruttatori finiscono a processo

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SFRUTTAVANO una ventina di ragazze ucraine e albanesi tra i diciotto e i quarantadue anni sulla via Emilia, da Modena a Castelfranco rendendole praticamente schiave. Un gruppo feroce, diviso in due fazioni – nuova e vecchia - che, per spartirsi il territorio, si era affrontato a colpi di arma da fuoco lungo la via Emilia. E’ stato disposto il giudizio immediato per la banda di albanesi sgominata lo scorso giugno dagli uomini della squadra mobile.

Dei dodici indagati, due saranno giudicati per spaccio di cocaina e sei per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione; altri risultano ancora latitanti. Le difese hanno chiesto per i ‘protettori’ clandestini il giudizio abbreviato e l’udienza è fissata per il prossimo undici novembre. Tra gli imputati l’albanese che gli inquirenti hanno indicato come il più violento e pericoloso tra gli sfruttatori: Alekxander Beqiri, accusato anche di tentato omicidio. Ma per quanto concerne il citato reato, le indagini non sono terminate e il capo di imputazione al momento è stato stralciato. Parliamo dello straniero che controllava e sfruttava Arietta Mata, la prostituta uccisa a Gaggio lo scorso gennaio e per il cui delitto è finito a processo il cliente 50enne Pasquale Concas, per il quale la pubblica accusa ha chiesto 26 anni di carcere.

L’indagine legata all’organizzazione criminale e coordinata dal pm Pasquale Mazzei, lo ricordiamo, era partita da una sparatoria tra due auto in corsa, avvenuta in via Emilia Est, all Fossalta, nella notte del 5 aprile dello scorso anno. Un agguato in piena regola, legato ai dissidi tra le due fazioni dalla caratura delinquenziale elevata: la vecchia e la nuova in guerra per la spartizione del territorio. Guerra che non era finita nel sangue solo grazie all’intermediazione di uno sfruttatore albanese. Era stato però il coraggio di una giovane lucciola a permettere agli inquirenti di mettere insieme i tasselli del puzzle: la ragazza, infatti, si era rivolta alla polizia per denunciare le condizioni in cui gli sfruttatori la obbligavano a vivere – anzi a sopravvivere - ancor prima che la lite tra le fazioni sfociasse nella sparatoria. Le giovani lucciole, infatti, secondo l’accusa venivano quotidianamente picchiate, umiliate e private della libertà personale: ridotte praticamente in schiavitù. A processo anche Alla Lulezim, albanese di 39 anni e anello di ‘congiunzione’ tra le donne già arrivate in Italia e le ragazze da reclutare in patria. Le lucciole, intercettate, lo descrivevano come uomo spietato e brutale. Il topo, lo chiamavano, facendo riferimento anche alla morte di Arietta: «Lui la picchiava sempre; lo Stato non funziona – affermavano – perchè ancora non è in carcere?». Per quanto riguarda l’accusa di tentato omicidio per il quale risultano indagati Alexander e un altro albanese, la difesa ha dato incarico ad un consulente al fine di svolgere la perizia balistica. Dalla stessa sarebbe emerso come, da quella distanza, l’arma non potesse rivelarsi letale. Alexander, quella notte, sedeva in auto accanto all’uomo ritenuto responsabile dell’esplosione dei colpi: Ahmet Uruci, 30 anni e al cugino Pashjia Denald. Poco prima della sparatoria in via Emilia, infatti, i due gruppi si erano incontrati in un bar di San Damaso per cercare di ‘risolvere la situazione’. Dopo la sparatoria, lo stesso Alexander si era recato in Albania per poi minacciare con un Kalashnikov i parenti degli ‘sfidanti’, ovvero dell’altra fazione di albanesi che non voleva cedere neppure un metro di via Emilia.

Valentina Reggiani