Ferrari e Pavarotti nel mirino dei banditi. Volevano rubare le salme, condannati

Maxi-pene per la gang di sardi che progettò il furto al cimitero

Luciano Pavarotti

Luciano Pavarotti

Modena, 21 luglio 2018 - Era più che un progetto perché loro, a Modena, c’ erano stati diverse volte per effettuare quei sopralluoghi che sarebbero serviti a organizzare il delicato piano in ogni minimo dettaglio. Ma le mani, sulle salme del Drake e del maestro Pavarotti, fortunatamente non sono riusciti a metterle perchè i carabinieri sono arrivati prima, arrestandoli.

E ieri sono arrivate le ultime condanne, pesantissime, per la nota banda di criminali di Nuoro che progettò di trafugare non solo la salma di Enzo Ferrari, il fondatore della scuderia di Maranello, dal cimitero di Modena, ma anche le spoglie del tenore Luciano Pavarotti dal piccolo camposanto di Montale Rangone, a pochi chilometri da Modena. L’intenzione dei membri dell’organizzazione criminale era emersa dalle intercettazioni telefoniche e subito le forze dell’ordine modenesi – avvisate dai colleghi di Cagliari – avevano monitorato eventuali movimenti sospetti nei cimiteri.

La tomba di Luciano Pavarotti
La tomba di Luciano Pavarotti

Dunque, per il gruppo accusato dalla Dda di associazione a delinquere e traffico di droga e armi il Gup Michele Contini, a conclusione del processo con rito abbreviato, ha inflitto 20 anni di reclusione al capobanda Giovanni Antonio Mereu, noto Caddina, emettendo altre diciassette condanne tra i dieci anni e un anno e quattro mesi per gli altri imputati.

Accolte quasi per intero le richieste del procuratore aggiunto Gilberto Ganassi, titolare del fascicolo e coordinatore dell’indagine. «Nel caso di Enzo Ferrari c’erano stati diversi sopralluoghi al cimitero modenese da parte della banda tanto che, all’epoca, avvisammo i colleghi di Modena affinché attivassero servizi di vigilanza.

Per quanto riguarda il maestro, la banda stava ipotizzando, era all’inizio ma non possiamo escludere che non ne fosse capace», aveva spiegato il comandante del reparto operativo Luigi Mereu. Lo scopo dei delinquenti era ovviamente quello di chiedere un riscatto ai familiari in cambio della restituzione dei corpi. La famiglia Ferrari nel 1979, con Enzo ancora in vita, aveva già vissuto quell’incubo; quando balordi provarono a profanare la tomba di Dino, figlio di Ferrari, sempre a San Cataldo, per poi abbandonare l’idea.

LEGGI ANCHE Volevano rubare la salma di Enzo Ferrari

In tutto erano 41 le persone coinvolte nell’affaire Ferrari e finite alla sbarra e che avrebbero organizzato il colpo, appoggiandosi a presunti complici emiliani. Gli scagnozzi legati a Giovanni Antonio Mereu, 47enne dell’isola trapiantato a Traversetolo (Parma), conosciuto come ‘Gianni’, sul finire del 2015 si erano presentati almeno due volte nei pressi del cimitero modenese. Probabilmente l’intento era quello di studiare l’area; capire come forzare il cancello d’ingresso e aprire quello della cappella che porta l’illustre cognome per poi, alla fine, sfondare la tomba.

Non solo quella: evidentemente nell’aria c’era un doppio colpo legato alle stelle modenesi. «Sennò… ci sarebbe Pavarotti, ce ne sono di personaggi!» la frase intercettata dalle conversazioni tra Gianni Caddina e i suoi ‘scagnozzi’. A marzo alcuni membri del sodalizio, otto, avevano patteggiato pene da 4 anni a 3 mesi. Per gli altri 18 ieri sono arrivate le condanne in abbreviato. Per il boss Giovanni Antonio Mereu, la mente degli inquietanti piani emiliani, sono stati decisi 20 anni.