STEFANO MARCHETTI
Cronaca

"I teatri specchio dell’identità nazionale"

Nel suo nuovo libro il giornalista Alberto Mattioli percorre idealmente l’Italia attraverso i palcoscenici più prestigiosi

"I teatri specchio dell’identità nazionale"
"I teatri specchio dell’identità nazionale"

di Stefano Marchetti

"Gli italiani hanno fatto l’opera, ma l’opera ha fatto gli italiani", esordisce Alberto Mattioli, giornalista e critico musicale fra i più accreditati, nonché ‘pazzo per l’opera’ (sta per arrivare al record di 2000 serate a teatro). È vero: il melodramma è una creazione tutta italiana che ha fatto il giro del mondo, "il primo spettacolo multimediale che è stato anche il primo spettacolo globale": ma qui in Italia l’opera è divenuta anche qualcosa di più, "e i teatri si sono rivelati i luoghi in cui si è formata l’identità nazionale – sottolinea Mattioli –. In un Paese disunito dove ogni trenta chilometri cambia tutto, il teatro dell’opera è uno dei pochi interessi comuni, davvero nazionali. Anche se ogni luogo lo vive in maniera diversa".

In "Gran Teatro Italia", il suo nuovo libro edito da Garzanti, Alberto Mattioli ci accompagna quindi in un ‘viaggio sentimentale’ da nord a sud, nel paese del melodramma. Dove i teatri diventano il centro della vita anche sociale, civile e mondana, come la cattedrale o il municipio.

A pensarci bene, l’opera lirica è quasi un miracolo. È un genere artistico nato nelle corti, e in più è uno spettacolo obiettivamente difficile, dove si parla cantando in versi aulici: eppure proprio l’opera è stata capace di unire tutte le classi sociali, ricchi e poveri, colti e ignoranti. Davvero nazionalpopolare, per dirla con Gramsci. E i teatri all’italiana sono stati progettati proprio per essere ‘vissuti’: un tempo ci si andava per conversare, per giocare a carte, perfino per cenare in disinvolta compagnia. Si è creato così – osserva Mattioli – un rapporto di simbiosi fra il nostro Paese e il teatro dell’opera. Ma così come esistono vari dialetti o tradizioni culinarie, anche per il teatro ogni città fa storia a sé. Mattioli percorre idealmente l’Italia, offrendoci dei brillanti, arguti e documentati ‘ritratti’ dei diversi teatri, con la loro storia, le scelte artistiche e anche (e soprattutto) il pubblico che li frequenta.

"Torino coltiva l’understatement, la sobrietà: sono rarissimi gli entusiasmi accesi o le contestazioni – racconta –. Milano sente di essere ‘un gran Milàn’, e il pubblico della Scala si è autoinvestito della missione di tutelare la sacralità dell’opera. I fiorentini invece sono contrari a prescindere, quindi il teatro del Maggio è il più ingovernabile che ci sia. A Roma c’è un atteggiamento ipercinico e il pubblico, col suo tono caciarone, ha un approccio molto laico: se l’opera piace applaude, e se non piace, a volte semplicemente se ne va". Napoli, con lo splendido San Carlo, "dovrebbe recuperare la sua grandezza di capitale", e poi si arriva a Palermo, "dove tutto è eccessivo – sottolinea Mattioli –, ma le prime al teatro Massimo, con le duchesse e le gattoparde, sono strepitose".

Il cuore di Alberto Mattioli ovviamente batte in Emilia, al centro del triangolo dell’opera Milano - Venezia - Bologna, e nel libro rievoca il suo primo "Trovatore" in loggione al nostro Comunale: "Da noi la passione per l’opera tocca i vertici: magari si è affievolita rispetto ad anni addietro, ma ancora è viscerale. Bastava scorrere l’elenco telefonico di Modena per trovare tanti Radames, tante Violette e qualche Manrico". Nei nostri teatri di tradizione l’opera si fa ancora con quel ‘tocco magico’ e quell’alto artigianato che la rende ancora più vicina. Croce e delizia, ma tanto tanto amore.