"Il calo delle vittime? Ci vorranno settimane"

L’analisi del professor Nichelli: "Le misure di contenimento stanno funzionando. Quando finirà tante abitudini cambieranno"

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di Vincenzo Malara

C’è luce in fondo al tunnel. Milioni di italiani guardano con speranza agli ultimi dati (contagiati, guariti, deceduti) sull’andamento del Covid-19, numeri tutti in netto miglioramento sia a livello emiliano-romagnolo (Modena compresa) che su scala nazionale. Probabilmente abbiamo raggiunto il fatidico picco (lo ha detto ieri l’Iss) e con lui una certezza: non bisogna abbassare la guardia proprio ora. Analizziamo il quadro in evoluzione con Paolo Frigio Nichelli, professore senior di Neurologia all’Unimore, già preside del Dipartimento di Medicina e Chirurgia.

Come legge gli ultimi dati?

"Molte persone sono infettate dal virus, ma rimangono asintomatiche e non tutti gli infettati eseguono il tampone. Quindi i dati sui contagi sono solo la punta di un iceberg. Da qualche giorno i trend vanno nello stesso senso. Le misure di contenimento servono. Il numero dei contagi sta scendendo in modo significativo, grazie ai sacrifici di tutti gli italiani. Per vedere lo stesso effetto sulla letalità (morti dovuti al Covid-19) occorrerà però attendere almeno 2-3 settimane".

Ci sarà un momento in cui si potrà dire che il virus è davvero sconfitto?

"Non ci sarà un momento in cui si potrà dire ‘liberi tutti’. Uno studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Imperial College di Londra (uno dei migliori al mondo) indica che la circolazione del virus è maggiore di ciò che appare. Calcolando a partire dai dati di letalità, più attendibili di quelli dei contagi, l’indagine ipotizza che al 28 marzo abbiano contratto l’infezione il 9,8% degli italiani. L’errore statistico pone questo valore in un intervallo che va dal 3,2% al 26%. Considerando che la nostra è tra le zone più colpite, non mi stupirei se questa percentuale raggiungesse già ora il 30%. Dati più sicuri verranno dai test di immunità specifica. Si tratta di un progetto che la nostra Regione ha attivato questa settimana. Quando l’organismo viene a contatto con un virus sviluppa anticorpi contro di esso. Trattandosi di un virus nuovo non sappiamo quanto duri l’immunità, ma è probabile che protegga l’individuo almeno per un anno. Avremo dunque persone immuni con un tampone negativo (non possono trasmettere la malattia). Queste sono le prime che potrebbero riprendere a lavorare e circolare. Secondo il prof. Lopalco, il virus si fermerà quando il 60% della popolazione avrà contratto la malattia. L’Emilia-Romagna sarà fra le prime regioni a raggiungere questo traguardo".

Come vede la ripresa della quotidianità?

"Molte abitudini cambieranno. Probabilmente impareremo a salutarci abbozzando un inchino, come fanno gli orientali. Inibiremo strette di mano, baci e abbracci per lungo tempo. Non so per quanto ancora porteremo guanti e mascherine, ma certo ne terremo qualcuno in casa".

Che insegnamento può trarre la sanità Italiana da questa emergenza?

"A livello nazionale ora sappiamo che dobbiamo avere un piano aggiornato per gestire le epidemie. Le decisioni di tipo sanitario devono scattare subito, senza esitazioni. Un precoce tracciamento dei contagi può essere estremamente utile nella prima fase (questa è l’esperienza del Veneto). Di fondamentale importanza è l’integrazione ospedale-territorio. Qui è stata proprio la nostra regione che ha dato gli esempi migliori. Gran parte dei pazienti Covid-19 possono e devono essere curati a casa. Di fronte a una emergenza sanitaria si pensa solo al ruolo degli ospedali e si alimentano inutili polemiche sui posti letto. L’ospedale diventa fondamentale quando sono le dotazioni tecnologiche e di personale che possono fare la differenza. I medici e gli infermieri stanno facendo un lavoro eccezionale. Dobbiamo preoccuparci che possano farlo sempre in sicurezza. La loro sicurezza è anche la nostra. Fino a qualche giorno fa ci dicevamo l’un l’altro ‘ce la faremo’. Ora possiamo dire ‘ce la stiamo facendo’".