Il ’piccolo immenso’ jazz di Parks

Stasera alla Tenda il famoso pianista statunitense presenta il suo nuovo progetto ’Little Big’

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Trovare nuovi linguaggi è la missione del jazz attuale. Vi si dedica con profitto Aaron Parks con una dimostrazione di rara leggerezza ed espressività sigillata nell’album «Little Big» firmato con il gruppo omonimo: musica senza gabbie, etichette messe al bando per una scrittura sofisticata, assoli integrati con coerenza, presupposto per involarsi verso un mondo a parte. Un esempio convincente viene dal brano d’apertura, «Kid», in cui una tensione ritmica da vertigini è bilanciata da un’incalzante vamp di piano per poi sfumare di soppiatto nel suono livido della chitarra elettrica e in quello controverso (rispetto alle premesse) delle tastiere elettroniche.

Giusto un assaggio del concerto di stasera (ore 21.15) al teatro Tenda in cui il leader gestirà l’interplay con il neozelandese Greg Tuohey (chitarra), DJ Ginyard (basso elettrico) e Tommy Crane (batteria). Musicisti che portano il loro specifico contributo non solo dall’improvvisazione, ma anche dall’elettronica, dall’R&B, dall’indie pop. Un seguito maturo della summa di esperienze innovative iniziate dall’incisione del primo disco, «Invisible cinema» che John Fordham sul The Guardian scolpì come «singolare visione indipendente». Esperienza discografica che ha riscosso consensi in ogni angolo del pianeta, proseguita con l’album «Small Planet». Altre chicche regalate alla galassia del jazz dal geniale seattliano sono «Arborescence» e «Find the Way» registrato in trio con Ben Street e Billy Hart, leader e compositori a loro volta di appeal globale.

In Little Big le composizioni si allontanano dalle tematiche attentamente concepite di certa tradizione jazzistica, tenui, quasi eteree ne scivolano via lasciando però intravvedere spazi possibili di improvvisazione radicale. Così si spande una sorta di suite che ingloba brani speciali come il quasi pinkfloydiano «The Trickster» o il policromo «Siren» o l’ammiccante «Digital Society». Avviso ai naviganti dell’afro-americana: quello che ai critici più accorti può sembrare creazione ex abrupto non va scambiata però per ricerca velleitaria di spazi solistici. La scelta più indicata forse è di sensibilizzarsi sull’ affaccendato rincorrersi degli interpreti, con armonia e melodia messe all’angolo dalla ricerca di soluzioni sonore inedite. Il che può piacere o meno, ma stimola in chi ascolta nuove, possibili estasi musicali.

Gian Aldo Traversi