«Il viaggio della memoria sarà in Istria»

Migration

‘FARE memoria’: questo uno dei capisaldi della Fondazione Fossoli. Conservare e trasmettere la memoria dell’ex Campo di Concentramento di Fossoli, autentico testimone di una ‘stratificazione’ di storie e vicende umane. Tra il 1945 e il 1947 è stato campo per gli ‘indesiderabili’; dopo la fine della guerra ha accolto la comunità di Nomadelfia con don Zeno Saltini e infine, negli anni cinquanta, è divenuto il Villaggio San Marco con i profughi giuliano-dalmati, provenienti dall’Istria. E sarà proprio questo ultimo aspetto storico della vita del Campo di Fossoli il tema portante della II edizione del Viaggio della Memoria rivolto a tutta la cittadinanza, ‘Storia in Viaggio. Dall’Istria a Fossoli’, che si svolgerà dall’11 al 13 ottobre sul confine orientale italiano, tra Trieste e le zone adiacenti sulle tracce dell’esodo giuliano-dalmata, come racconta Pierliuigi Castagnetti, presidente della Fondazione Fossoli.

Presidente perché avete scelto questa meta?

«La decisione di porre, quale meta del Viaggio della Memoria (le cui iscrizioni sono state prorogate al 13 settembre, ndr), i luoghi legati all’esodo giuliano-dalmata, vuole rendere onore a questi profughi. Il Campo di Fossoli è un luogo che custodisce una memoria plurima. Qui sono stati deportati ebrei e antifascisti, poi vi è sorta la Comunità di Nomadelfia di don Zeno, ed infine, l’ospitalità più lunga dal punto di vista temporale: il Villaggio San Marco che ha accolto gli esuli istriano - dalmati. Ci è quindi sembrato opportuno e doveroso visitare i luoghi di provenienza di queste persone».

Cosa ha portato questa comunità al Campo?

«Un senso di ‘comunità’, appunto. Hanno dovuto lasciare la loro vita, la casa, anche gli affetti per arrivare in un luogo che era stato un campo di concentramento. Eppure, nonostante tutto, hanno tentato di ‘umanizzarlo’, dargli una dignità strutturale. Hanno costruito la chiesetta. Volevano fosse un luogo dove si potesse vivere la vita, dove ci fosse vita. Siamo loro grati per tutto questo, per avere cercato di costruire condizioni di vivibilità in una struttura non certo nata per ospitare delle famiglie. Quella degli istriano - dalmati è stata storicamente la prima esperienza di profuganza ‘strutturata’, che ha sempre cercato di mantenere una dimensione comunitaria, affinché questa terribile esperienza fosse resa più vivibile grazie alla solidarietà interna al gruppo».