«Io, prete tra gli ‘ultimi’ della baraccopoli»

Migration

Don Graziano, cosa si porta nel cuore dal suo viaggio nelle Filippine?

«L’amicizia di tantissime persone e la consapevolezza di essermi sentito a casa mia»

In che cosa consisteva la sua ‘missione’?

«Ho vissuto accanto ad una grande baraccopoli sorta presso una discarica di rifiuti. In parrocchia eravamo quattro preti, in servizio su un territorio inferiore al chilometro quadrato, ad oggi popolato da più di 225mila persone. Oltre ai tipici servizi di messe, funerali, benedizioni, confessioni e incontri nella nostra parrocchia, ho collaborato con altre comunità, alcune di queste legate ad altri missionari italiani. Ho preso parte alle attività della caritas parrocchiale (specialmente al feeding program per bambini denutriti e al gruppo di riabilitazione per tossicodipendenti). Ho seguito due gruppi di lettura settimanale della Parola di Dio all’interno della baraccopoli. Varie volte mi mettevo a girare nelle zone meno ‘esplorate’ della baraccopoli per conoscere la situazione reale delle persone che vi abitavano e per cercare di stringere una relazione di fiducia con loro. In un secondo momento, invitavo i volontari della caritas parrocchiale a venire a conoscerle ed insieme cercavamo di capire quale genere di aiuto potevamo offrire. Spesso accompagnavo anche le suore della congregazione di Madre Teresa di Calcutta nel visitare i più abbandonati tra gli abbandonati, come anziani e malati».

Che situazione ha trovato a Tondo?

«Ho toccato con mano situazioni di una povertà tale che a Modena forse è difficile immaginare. Non si è trattato solo di povertà intesa come mancanza assoluta di qualsiasi bene primario (cibo, acqua, casa, medicine, istruzione...): la povertà che ho incontrato arrivava al degrado completo della dignità umana. Abitare in una discarica, scavare tra i rifiuti ogni giorno - sotto al sole cocente o sotto la pioggia torrenziale - per guadagnare pochi spiccioli, nutrirsi di avanzi di cibo raccolto tra la spazzatura, sono solo alcuni aspetti della condizione di vita in cui versano migliaia di famiglie a Tondo».

Che cosa ha imparato, che può essere messo in pratica qui, da questo viaggio?

«Non mi lamento più per quelli che prima chiamavo problemi. Ringrazio Dio ogni giorno per la vita; qualsiasi imprevisto potrà accadermi, avrò sempre ragioni sufficienti per farmi forza e andare avanti. Il mistero della vita e della morte sono al di sopra della nostra comprensione e delle nostre (pur legittime) pretese che le cose avvengano secondo le nostre aspettative: non abbiamo pieno potere sulla nostra stessa vita. Vivendo insieme alle famiglie della discarica mi sono reso conto di quanto sia importante aprire gli occhi sulla condizione di queste persone, capirle e amarle. Penso che questo ci salvi dal pericolo di vivere ripiegati su noi stessi, insoddisfatti della nostra vita, lamentarci per quello che non siamo ancora riusciti ad ottenere».

Come accoglie la sua nomina in Migrantes?

«La Migrantes è l’organismo pastorale che si occupa dell’assistenza religiosa ai migranti, promuove la loro accoglienza presso le comunità cristiane e contribuisce a favorire un clima di pacifica e rispettosa convivenza nella società civile. Ho proposto al vescovo di definire la mia nomina come assistente ecclesiastico e lui ha accettato. Questo mi dovrebbe consentire di servire le persone come prete, anziché come direttore responsabile: quest’ultimo ruolo potrà essere svolto da un laico».

Nella nuova parrocchia nella zona di viale Gramsci la aspetta una bella sfida... Che ne dice?

«Sono molto felice di questo incarico. Farò del mio meglio, non vedo l’ora di conoscere i parrocchiani e il quartiere e di affrontare quello che verrà».

Tornerà nelle Filippine?

«Spero proprio di sì».