«L’ufficio del 2050? Immerso nel verde»

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COME saranno le città del futuro tenendo conto dell’emergenza climatica sempre più stringente?

A dare una risposta ci ha provato Giambattista Brizzi, architetto di 28 anni e modenese doc. La sua ricerca, sui temi delle nuove progettazioni e svolta assieme a un team di esperti tra cui spicca il professor Emanuele Naboni, è stata talmente apprezzata da essere pubblicata sul ‘Renewable and Sustainable Energy Reviews’ una delle riviste fra le più quotate nel settore

Brizzi, quali sono i punti salienti della vostra ricerca?

«Nell’articolo abbiamo evidenziato i parametri necessari per progettare edifici e città che siano adatte alle condizioni climatiche del 2050 o del 2090, utilizzando una varietà di valutazioni metriche in un unico flusso con programmi ‘open source’ (consultabile da tutti, ndr)».

Come potrebbe essere tradotto in parole ‘povere’?

«Abbiamo dei dati climatici da cui partire, unendoli al software possiamo arrivare a sapere come cambieranno le temperature col passare del tempo: vorremmo che i progetti o le ristrutturazioni dei palazzi e delle case del futuro partissero da queste considerazioni scientifiche. Pensiamo al fotovoltaico, in questo momento i pannelli sono praticamente tutti sul tetto dell’edificio perché è lì che si creano le condizioni migliori per innescare il funzionamento, ma in prospettiva potremmo tranquillamente utilizzarli sulla facciata: con il surriscaldamento globale ci saranno anche lì le stesse condizioni».

Si parla molto di ricerca della sostenibilità, ma come può essere tradotta?

«È Lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie, questa definizione, data nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, è ancora attuale. Adesso però abbiamo dei nuovi indici da cui partire e dobbiamo seguirli, è l’evoluzione delle cose, prima si disegnava a mano, adesso col pc...».

Guardando alla sua Modena, quali consigli si sente di dare?

«Più attenzione alla biofilia ovvero al rapporto fra uomo e natura. I dati ci dicono che spendiamo il 90% del nostro tempo all’interno degli edifici, con un conseguente consumo di energia ed emissione di gas inquinanti dovuti al riscaldamento e al rinfrescamento, per iniziare a migliorare basterebbe quindi utilizzare meglio gli spazi aperti, renderli tutti dotati di una connessione wi-fi efficiente in modo da poter lavorare, quando possibile, all’esterno: ci vorrebbe solo più attenzione, la nuova frontiera non è costruire di più, ma costruire quando serve con più qualità».

Quale città italiana può essere presa come esempio trainante?

«Milano sta cercando di rilanciarsi sotto questo punto di vista, ma rispetto ad altri grandi centri europei siamo ancora indietro e fa un po’ rabbia perché in realtà avremmo molte più possibilità. Penso a Copenaghen dove, su un inceneritore, è stata costruita una pista da sci...Parliamo di un termo valorizzatore che rifornisce di energia praticamente tutto il centro storico e che brucia 70 tonnellate di rifiuti all’ora, riducendo le emissioni del 99,5%, insomma l’incenerimento è praticamente privo di inquinamento».

Per concludere, quale messaggio si sente di dare agli architetti dei giorni nostri?

«Di non legarsi solo all’occhio, ma di mettere i dati e la scienza al servizio dell’architettura».