"La mia opera su gabbie e libertà"

Venerdì al Comunale in prima assoluta, lo spettacolo di Yuval Avital ’About Birds’, nato durante il lockdown

"La mia opera su gabbie e libertà"

"La mia opera su gabbie e libertà"

di Stefano Marchetti

Come dimenticare quella sera di tre anni fa? "Con mia moglie e mia figlia ci eravamo recati a Zumaglia, sulle colline biellesi, per qualche giorno di sosta. Era il Purim, il carnevale ebraico – esordisce Yuval Avital, artista, musicista e compositore di origini israeliane –. E proprio quella sera, il 9 marzo, venne annunciato il lockdown. Eravamo partiti con la valigia per un weekend, siamo rimasti là per 101 giorni..." All’improvviso il mondo è cambiato, "tutti ci siamo trovati in un limbo, incertezza assoluta, smarrimento, dolore – aggiunge –. Sono corso in un centro commerciale, ho acquistato colori e corde per la chitarra. E così, in quella casa, ho iniziato a disegnare uccelli, decine di uccelli antropomorfi, vanitosi, ballerini, vecchi, giovani. E in parallelo ho iniziato a comporre". È nata allora "About Birds" la complessa partitura per quartetto d’archi che verrà eseguita dal Meitar Ensemble (in prima assoluta) venerdì 24 alle 20.30 al teatro Comunale Pavarotti Freni, nell’ambito del festival "L’Altro Suono": un racconto musicale che alterna echi di Stravinskij, ritmi ostinati e modi melodici mediorientali, con performance multimediali sul palco. Tutto il progetto è ancora più articolato: alla composizione musicale infatti si affianca una serie di acquerelli (che la Fondazione Modena Arti Visive esporrà da domani a Palazzo Santa Margherita) e un lavoro di videoarte. "La definisco un’opera icono-sonora", spiega Avital.

Ma perché proprio gli uccelli?

"Perché in quei giorni in cui il mondo sembrava bloccato, la natura aveva ripreso spazio con grande potenza. Gli uccelli erano ovunque, un segno di enorme libertà: non hanno passaporto, vanno dove vogliono, ma al contempo sono esseri fragili".

Cosa ci raccontano dunque gli uccelli?

"Via via che scrivevo, sempre più mi rendevo conto che quell’opera che nasceva non era soltanto ‘about birds’, sugli uccelli, ma era ‘about me’, su me stesso. Osservare la natura, in quel momento, mi ha aiutato a scoprire un aspetto della nostra umanità che spesso sottovalutiamo, la nostra vulnerabilità che io reputo un dono. Noi uomini non siamo i padroni del mondo, semmai ne siamo i custodi. Ma chissà se lo abbiamo compreso veramente".

Il lavoro non si concluso con la composizione dell’opera musicale...

"Infatti quando ho scritto la parola ‘fine’, ho capito che avrei potuto andare avanti. E la partitura si è trasformata in una drammaturgia. Lo scorso giugno con tre componenti dell’ensemble d’archi ci siamo ‘autorinchiusi’ per alcuni giorni in una villa a Zocca: in un processo immersivo con decine di esercizi di performance (tutto documentato da video), ci siamo simbolicamente trasformati in uccelli".

Quindi l’opera è come un diario?

"Il mio diario e una testimonianza per tutti, la condivisione di una storia. Ogni opera d’arte può diventare una parabola che accoglie tanti aspetti. E nela fragilità degli uccelli si può riflettere anche la nostra fragilità. Spesso penso al mio lavoro come un’opera d’arte totale in senso wagneriano. Un Wagner ‘duepuntozero’..."

Ovvero?

"Per raccontare un’esperienza così intima, occorre servirsi di tutti i mezzi espressivi. Sono musicista, regista, pittore. Anche quest’opera, in fondo, è come uno specchio della mia vita, e di quella di tutti".