La poesia declinata dai magnifici sette

A Marano sarà presentata la raccolta degli autori modenesi Alperoli, Bertoni, Genitoni, Rentocchini, Robaey, Tavilla e Trebbi

di Roberto Barbolini

Verrebbe facile chiamarli “i magnifici sette”, se in realtà non fossero otto, proprio come i tre moschettieri di Dumas sono quattro e non tre. Del resto, nel mondo della poesia anche la matematica è un’opinione. Viceversa le parole, se non vengono prese per il verso giusto, sono capaci di dare i numeri. Ma è proprio questo rischio che i poeti amano sfidare malgrado tutto, o meglio “Malgretù”, come suona il titolo della raccolta a più voci edita da Incontri, che verrà presentata domenica prossima 23 ottobre a Marano sul Panaro (Teatro di Kia, ore 17) nell’ambito di Poesiafestival. Un titolo -come osserva nell’acuta postfazione Federico Carrera- che attua una specie di “modenizzazione” del francese “malgré tout”, virando subito il tono della raccolta su un registro domestico e quotidiano ma non provinciale (se non nel senso di quella provincia-mondo capace di dialogare con la globalità senza smarrire le proprie radici) , che è uno dei collanti in grado di unire sotto un denominatore comune un Settebello poetico costituito da voci diverse e ben individuabili, seppure non prive di contatti e influenze reciproche, come quelle di Roberto Alperoli, Alberto Bertoni, Francesco Genitoni, Emilio Rentocchini, Jean Robaey, Elio Tavilla ed Enrico Trebbi. Si tratta di poeti tutti nati tra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo, che al di là delle coincidenze anagrafiche condividono il fatto di essere modenesi per nascita o per adozione. "Ma se vogliamo andare al cuore della faccenda" sottolinea Roberto Alperoli, chioma post-einsteiniana al vento nel tepore di questo ottobre mite che sembra non voler finire mai, "ciò che ci accomuna veramente, al di là del mood generazionale, è il ruolo cruciale che la poesia ha svolto e continua a svolgere nelle nostre vite. È stato questo a fare da volano, rendendoci vicini, e in qualche caso amici, al di là degli stili e dei punti di riferimento diversi".

E qui la parabola western dei Magnifici Sette calza a pennello: c’è chi è più bravo con la pistola, chi col fucile o il coltello; ciò che importa è la causa comune. Ma se i Magnifici Sette sono otto, e l’ottavo non è un poeta bensì un artista fantasioso e generoso come Giuliano Della Casa, agile col pennello come D’Artagnan con la spada, ecco che “Malgretù” si riempie di sette deliziosi acquerelli, ciascuno ispirato ai versi di uno dei poeti antologizzati, che rendono il volume una festa anche per gli occhi. “Poesie e immagini”: questo il sottotitolo non casuale, quasi a confermare il celebre motto attribuito da Plutarco a Simonide di Ceo: "La pittura è poesia muta, e la poesia pittura parlante". Di topi, fiori e uccelli canterini ci parlano gli acquerelli di Della Casa, e non si tratta d’un partire per la tangente, usando i versi dei poeti come un pretesto; anzi, è vero il contrario: l’artista ha saputo cogliere il legame profondo con la realtà vivente tanto in quel senso di “vita mancata”che traspare dai versi di Alperoli come nella quotidianità insieme colta e vernacola di Bertoni, nei guizzi fiamminghi di Robaey come nei parodici dialoghetti in prosa di Rentocchini, negli emoticon poetici di Tavilla come nell’intreccio fra natura e memoria di Genitoni o nelle meditazioni sul passare del tempo che scandiscono l’“archeologia personale”di Trebbi. Morale della favola? Il Metaverso può attendere, il verso giusto mai.