Modena, licenziato per un messaggio via whatsapp? Non si può

Offese il capo in chat, non sarà cacciato. Il giudice ha stabilito il reintegro: "Era una conversazione privata"

Ragazzi e l'uso delle chat

Ragazzi e l'uso delle chat

Modena, 9 ottobre 2019 - Ha offeso il capo sulla chat di whatsapp ed è stato licenziato ma, secondo i giudici del tribunale del lavoro di Modena il provvedimento è illegittimo: non sussiste condotta diffamatoria in una chat privata. Non solo: i giudici sottolineano come il linguaggio in cui si esprime il lavoratore parlando con un collega è quello disinvolto e volgare che caratterizza ormai la comunicazione sui social network.

E’ una sentenza che fa scuola quella emessa nei giorni scorsi dal giudice del lavoro Eleonora Ramacciotti che, nel richiamare un recente pronunciamento della suprema corte, peraltro a firma di una cassazionista modenese, esclude contenuti diffamatori nel caso di chat private.  Il licenziamento del lavoratore difeso dall’avvocato Fabrizio Fiorini e dalla collega Annalisa Bova, risale a maggio di due anni fa. Palazzi lavora nell’azienda modenese, che si occupa di recupero crediti, da circa dieci anni.

Il clima negli uffici risulta da tempo ostile, dal momento che l’uomo denuncia di essere vittima di mobbing. Un pomeriggio l'uomo invia un messaggio ad un avvocato, collaboratore esterno della società, attraverso il quale, secondo l’azienda, ingiuria pesantemente altri due dipendenti della società, uno dei quali un suo diretto superiore gerarchico. Nel messaggio si fa riferimento al comportamento delle due persone, appunto: «la… (insulto) sparge letame per una tua pratica… Aspettati casino dalla …(insulto)».

«Ho inviato un messaggio al collega che si trovava a casa in quel momento – spiega l'uomo – ma lui, temendo per la pratica di cui parlavo, ha girato la chat di whatsapp alla figlia del legale rappresentante della società che, a sua volta, lo ha fatto girare sulle chat di colleghi e della direttrice. Io non ho fatto alcun nome ma hanno usato quel messaggio per trovare un motivo per licenziarmi. Il giudice, però, mi ha dato ragione condannando l’azienda ad un risarcimento pari a 13 mensilità».

Il lavoratore riteneva di essere stato vittima per lungo tempo di mobbing e demansionamenti, ridotto ad una forzosa inattività. Secondo i giudici, però, non si può parlare di licenziamento ritorsivo ma illegittimo si. «Una interessante pronuncia del giudice del lavoro del tribunale di Modena ha risolto la questione aperta della libertà tra colleghi di poter esprimere o meno, nelle conversazioni private whatsapp, giudizi negativo, anche offensivi, su azienda, datori di lavoro e altri colleghi – afferma l’avvocato Fiorini. Il principio, innovativo, è che la conversazione privata e confidenziale su whatsapp tra due colleghi non è legittimamente utilizzabile ai fini disciplinari e cioè senza che sia nemmeno necessario appurare se il contenuto della conversazione sia o meno offensivo e diffamatorio».

L’orientamento giurisprudenziale del giudice del lavoro calibra ed estende dunque alle conversazioni whatsapp la tutela costituzionale dell’articolo 15 sulla inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza.  Secondo il giudice, quindi, quelle frasi non possono ritenersi diffamatorie né giustificare la sanzione del licenziamento. Ad avviso del tribunale del lavoro le esternazioni del ricorrente paiono la reazione soggettiva a condizioni di lavoro che, a torto o ragione, non vengono considerate soddisfacenti dal lavoratore e il linguaggio è quello disinvolto e volgare che caratterizza ormai – afferma il giudice – la comunicazione sui social netwoprk. Da qui l’impossibilità di configurare una condotta diffamatoria vera e propria. Il licenziamento del lavoratore è dunque illegittimo