Mafia nigeriana a Modena, prostituzione e legami con i Casalesi

Alla nuova piovra che aggredisce il territorio è collegato anche un delitto del 2003

La prostituzione è una delle attività su cui punta la mafia nigeriana (Newpress)

La prostituzione è una delle attività su cui punta la mafia nigeriana (Newpress)

Modena, 18 gennaio 2019 - Era il luglio del lontano 2003 quando il corpo di una ragazza nigeriana riaffiorò nel canale Diversivo a Mirandola. Per il delitto della lucciola finì in carcere una ‘maman’, sfruttatrice di prostitute nere con l’accusa di concorso in omicidio. Ma i tentacoli della mafia nigeriana, ritenuta oggi la più pericolosa, hanno raggiunto il nostro territorio ben prima, alla fine degli anni Ottanta quando i corpi seminudi delle ragazze sbarcate alla Bruciata, la loro gabbia, richiamavano l’attenzione di giovani di mezza Italia.

Quando i casalesi e i nigeriani – che reclutavano con false promesse le giovani di Benin City – iniziarono a fare affari nel Mezzogiorno prima e al Nord Italia poi. Perchè ‘l’affare’ delle giovanissime ragazze ‘esportate’ come animali, private di qualsiasi diritto da subito fu fiutato dai casalesi nella culla delle famiglie Schiavone – Zagaria: Castel Volturno. Lo stesso boss Zagaria che gli affari li faceva a Modena. Lo stesso Sandokan per cui ‘lavoravano’, ripulendo i soldi del clan, i vari affiliati modenesi. A maggio 2006 la prima grande Operazione ‘Multilvel 2’ con gli arresti da parte della polizia dei membri di un’organizzazione criminale, italiani e nigeriani, che facevano arrivare le ragazze dalla Nigeria per indurle sotto minaccia del vodoo alla prostituzione.

Minorenni abbagliate dalla possibilità di trovare lavoro in Italia; scortate lungo la tratta libica dalle loro maman e che poi, sotto la minaccia di rituali mortali, si vedono costrette a saldare il debito con l’organizzazione. Parliamo di circa trentamila euro, come racconta Nadia (Il nome è di fantasia). «Sono arrivata in Italia nell’ottobre 2016, avevo 17 anni – racconta – il mio boss mi aveva parlato di un lavoro in un market. In Libia siamo finite in carcere poi, dopo mesi, siamo sbarcate sulle coste. Sono rimasta un mese a Napoli ed è qui che lui, il boss, mi ha detto che avrei dovuto vendere il mio corpo. Mi avevano tagliato i peli pubici – confida Nadia – li custodivano nel loro villaggio e se mi fossi rifiutata li avrebbero utilizzati contro di me attraverso la maledizione del rito JuJu che avrebbe colpito anche la mia famiglia. Mi ha fatto violentare dai suoi amici, mentre mi ospitava in casa con la moglie e, dopo un mese sulla strada, ho raggiunto Modena ma lui mi ha trovato. Alla Bruciata eravamo una quindicina, tutte giovanissime e con boss diversi».

Le chiediamo quanto guadagnava a cliente. «Quindici, venti euro e mi incontravo con una decina di uomini al giorno per raggiungere la cifra che pretendevano. Per occupare lo spazio alla Bruciata, però, dovevo pagare una somma anche alle madame». Nadia, dopo qualche mese sulla strada, ha avuto il coraggio di scappare. Ora l’associazione Papa Giovanni si occupa di lei. «Ora vorrei fare la pasticcera».