Manfredi, il silenzio irreale: "E’ tutto diverso"

Lo scrittore isolato nella sua Piumazzo: "La primavera è esplosa, ma non si sentono gli uccellini e non vedo gli scoiattoli"

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di Maria Silvia Cabri

"Cronaca da casa mia" ai tempi del Covid-19. Valerio Massimo Manfredi, scrittore, storico, archeologo, accademico italiano, sta vivendo la reclusione forzata nella sua casa di Piumazzo di Castelfranco. Libri, sport, amici, ricordi. E un sogno: tornare a scavare.

Professore, come sta vivendo questo periodo?

"E’ tutto surreale, spettrale a tratti. Al mattino mi sveglio, apro la finestra e sento… silenzio. Mi colpisce, mi fa impressione. Non si sentono più neppure gli uccellini cantare, quasi che anche loro non ne abbiano più voglia. Eppure ogni mattina c’erano tantissimi uccellini e vedevo gli scoiattoli attraversare il vialetto e arrampicarsi sulle piante. La primavera è esplosa nella sua bellezza, le piante sono cariche di gemme e fiori, il prato è un tappeto di viole. Ma tutto pare cambiato".

Come sono organizzate le sue giornate?

"In modo più o meno simile sotto certi aspetti: mi alzo alle 7.15 al mattino e mi dedico all’attività fisica come ho sempre fatto. Per fortuna il parco di casa mi consente di fare footing all’aria aperta, e quindi di ‘uscire’ dalle mura domestiche e respirare o portare a spasso il cane. Integro lo sport salendo e scendendo di corsa 338 gradini, senza fermarmi, partendo dal seminterrato dove ho la biblioteca, poi salgo ai piani superiori e scendo dalla parte posteriore fino a tornare alla zona iniziale. Poi 15 minuti di palestra; dopo doccia, mi vesto, scendo e vado a fare colazione e alle 10.30 vado nel mio studio a lavorare. Lavoro anche nel pomeriggio; alla sera, dopo avere ascoltato alla televisione il ‘bollettino dei guerra’, continuo a lavorare o scendo nel seminterrato con mia moglie per guardare insieme un film gustandoci un bicchiere di Porto o di Marsala".

Cosa le manca di più?

"La libertà. Rispetto in pieno le regole che sono state fatte per essere osservate, ma ammetto che mi manca essere a Castelfranco a bere il caffè o invitare un amico al bar ‘Freccia’ di Piumazzo e dirgli ‘offro io’. Ma le restrizioni, sia pure ‘liberticide’ sono state emesse per salvarci. Non possiamo fare altro: fino a quando non sarà trovato un farmaco o un vaccino, non possiamo altro che aspettare e adattarci".

Aveva mai pensato potesse accadere una tragedia simile?

"No, non me lo sarei mai aspettato. Ricordo quando da bambino sentivo parlare della Asiatica, che ha fatto milioni di morti, ma non me ne rendevo conto. Quando fai il liceo o l’università ti senti quasi ‘immortale’. Non pensi alle malattie o ad altri problemi. I miei amici ed io passavamo il tempo a progettare dove saremmo andati l’anno dopo in vacanza: prendevamo dai campi di demolizione a Roma un ‘cartoccio’ di automobile, la sistemavamo e via verso le ferie: il mondo era nostro. Ora non sappiamo più di chi è".

Come cura i rapporti ‘a distanza’ ora?

"Mia figlia Giulia con suo marito e il mio nipotino sono a Roma. Chissà quando riuscirò a rivederli. Coltivo gli amici: l’amicizia è qualcosa di stupendo. Abbiamo un piccolo gruppo ‘on line’: a turno ognuno fa circolare battute, storie, per strappare un sorriso e cercare un po’ di sdrammatizzare. Ma soprattutto, per fortuna esiste il telefono: a me piace più parlare, chiacchierare con le persone care. Mai come in questo periodo si ha bisogno di parlare con coloro che abbiamo a cuore".

Quindi telefona spesso ai suoi amici…

"Sì. Inoltre avendo ora ‘più tempo’, mi piace ripescare qualche amico che non sento da molto, per sapere come sta, cosa sta facendo, come vive. Qualche giorno fa una amica al telefono mi ha detto ‘tiriamo avanti’. Le ho chiesto chi lo avesse detto. ‘Garibaldi’ ha risposto. In realtà le ho spiegato che ‘Tiremm innanz!’, ‘andiamo avanti!’, è una frase in dialetto milanese pronunciata dal giovane tappezziere milanese trentasettenne Amatore Sciesa (noto anche come Antonio Sciesa) durante i moti di indipendenza, il 2 agosto 1851, mentre passava davanti alla propria abitazione, in risposta all’ufficiale austriaco che gli prometteva salva la vita se avesse rivelato i nomi dei suoi complici. Fu poi fucilato al Castello Sforzesco. Ecco, gli eroi sono fatti così: ricordo che quando la maestra ce lo raccontava a scuola si commuoveva".

Un suo progetto?

"Vorrei tornare a scavare, vorrei andare in Sicilia a farlo. Ma ora necessariamente dovrò aspettare".