di Alberto Greco
L’analisi demografica sulla popolazione modenese resa nota dal Centro culturale ’Luigi Ferrari’ di Modena, che ha puntato il dito sull’invecchiamento e la progressiva affermazione di nuclei monofamiliari – che in provincia di Modena raggiungono il 36% e in città addirittura il 40% – pone alle istituzioni una serie di interrogativi, a partire dai servizi di welfare. Affrontiamo l’argomento col professor Massimo Baldini, ordinario di Politica economica al dipartimento di Economia Marco Biagi di Unimore, uno dei massimi esperti nazionali di sistemi di welfare.
Professore sorpreso dei dati?
"Vivere da soli è un fenomeno che riguarda ancora una minoranza: nel comune di Modena le famiglie unipersonali sono il 40% del totale (ben al di sopra della media nazionale del 33%), ma in esse vive il 18% dei residenti complessivi, un numero comunque anch’esso in crescita. Nel distretto sanitario di Castelfranco solo il 13% della popolazione vive sola, mentre in quello di Pavullo siamo al 20%. A Bologna, dove ben il 53% delle famiglie ha un componente, la quota di residenti che vivono soli raggiunge il 29%, il record in regione. Le famiglie più piccole e anziane sono molto più frequenti in Appennino e nelle città. Ovviamente l’aumento delle persone che vivono sole non è un fenomeno solo emiliano o italiano, ma riguarda tutto il mondo ricco, anche i paesi dove si fanno più figli. A Stoccolma circa la metà delle famiglie ha una sola persona, come a Bologna, anche se in Svezia il tasso di fertilità è ben maggiore. In Italia la solitudine è più spesso correlata con l’età avanzata".
Questo quali problemi comporta?
"L’aumento continuo della speranza di vita, interrotto solo temporaneamente dalla pandemia da Covid-19, è sicuramente una cosa molto positiva, ma produce anche problemi, come l’aumento del numero degli anni passati in cattiva salute e appunto la maggiore probabilità di vivere da soli. Gli italiani inoltre hanno cominciato a fare pochi figli già negli anni ’80, e anche questo contribuisce al fatto che molti anziani oggi siano privi di occasioni di relazioni sociali e di una rete di aiuto su cui poter contare in caso di bisogno. Il problema non è tanto vivere da soli, che può essere frutto di scelta, ma il sentirsi soli e isolati, cioè la mancanza di relazioni sociali e affettive. La solitudine ha effetti negativi sulla salute a tutte le età, e soprattutto tra gli anziani. Chi vive da solo, a parità di altre condizioni, ha condizioni di salute peggiori e durata media della vita inferiore rispetto a chi vive con altri".
Cosa possono fare i sistemi di welfare?
"Molto è già stato detto sulla necessità di ricalibrare i servizi, dai trasporti pubblici all’assistenza domiciliare. Si tratta in generale di potenziare la componente sociale dei servizi di welfare più che quella sanitaria. Tutti i comuni medio-grandi hanno un ’Informa giovani’ per aiutare i ragazzi ad orientarsi nel lavoro, nel tempo libero e nel volontariato, pochi hanno un ’Informa anziani’, che può svolgere le stesse funzioni ma per un pubblico più difficile da attivare, anche perché spesso poco istruito. Bisogna cercare di informare di più chi vive solo e ha tante ore libere sulle possibilità di svolgere vita attiva e di relazione, non basta creare una pagina internet".
Poi?
"Un altro grande tema è quello abitativo: molte persone anziane e sole vivono in case con dimensioni molto superiori alle loro esigenze. Si possono pensare incentivi economici per spingere gli anziani ad affittare parte del loro appartamento a studenti? Si affronterebbe così sia il problema della solitudine che quello della difficoltà degli studenti ’fuori sede’ a trovare un alloggio a prezzi ragionevoli. Anche il cohousing per anziani può avere un grande sviluppo. Perché non pensare a costruire aree comuni nei condomini già esistenti? Meno garage e più spazi condivisi, e la qualità della vita migliorerebbe molto".[EMPTYTAG]