«Maturità, per me fu come il patibolo»

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SARÀ stata una lunga ‘notte prima degli esami’ quella vissuta dagli studenti che iniziano oggi la maturità. La prima vera grande prova della vita, quella che li segnerà per sempre, proiettandoli nel mondo degli adulti Ricordi indelebili come testimonia Valerio Massimo Manfredi, classe 1942, scrittore, storico e archeologo.

Come si ricorda il suo esame di maturità?

«Un incubo. Era come andare alla ghigliottina. Al tempo si portavano tutte le materie, compresa l’educazione fisica, e il programma degli ultimi tre anni. Ricordo che quando quella mattina mia madre mi svegliò le dissi ‘No, non ci vado!’. Mi aveva preparato la camicia fresca di stiratura, la cravatta e il completo a giacca: il decoro era essenziale. Non come adesso che i giovani si presentano a scuola con le braghe corte».

E come è andata?

«Bene, sono uscito con la media del 7. Per me era molto, vista la situazione. Avevo fatto due anni di Ginnasio al collegio di San Luigi a Bologna: avevo la media del 9. Poi mio padre decise di trasferirmi a Modena, al liceo classico Muratori. Per me fu un tracollo. Ero abituato a ‘vivere’ nella scuola e ad avere un mio studio per i compiti. D’improvviso ho dovuto affrontare le distanze del viaggio e il fatto di non avere più un posto mio per studiare in casa. Ci ho messo tre anni per riprendermi. Per fortuna ho passato l’esame di maturità: dopo l’Università, Lettere Classiche a Bologna, è stata un sogno per me: potevo studiare le cose che mi interessavano».

Al liceo aveva qualche materia ‘avversa’?

«La matematica! Era il mio nemico, così logica, arida. Già meglio la fisica, che comunque ha degli agganci con la realtà».

Domanda d’obbligo ad uno scrittore: che tema ha fatto?

«Non mi ricordo (ride, ndr)! Ho cancellato gran parte di quei ricordi perché per me è stata un’esperienza angosciosa».

Quanto ha influito il suo percorso di studi sulla sua carriera?

«Molto. Ho avuto dei professori durissimi che mi hanno insegnato la disciplina. Della mia sezione, la B, ricordo due docenti. Melli di latino aveva capito che non ero uno stupido: un giorno mi ha chiesto ‘cosa scrivi?’. Stavo preparando una pièce teatrale in stile western per la parrocchia. Mi ha chiesto se poteva leggerla: riconsegnandola mi ha detto che gli era piaciuta molto ma che ‘mancavano gli spazi infiniti da western’. Aveva capito il mio talento. Bassoli di greco inizialmente mi diceva: ‘Manfredi perché non va a vendere le banane?’. Poi si è dovuto ricredere».

Ormai il ‘tema’ classico è scomparso e alla maturità è diventato una delle possibili tracce: cosa ne pensa?

«E’ un peccato, perché il tema è fondamentale per imparare a scrivere. Proprio nei giorni scorsi, da un sondaggio fatto da un’agenzia, ho appreso che le persone che hanno fatto il liceo e gli stessi insegnanti non leggono un libro in un anno. Basta guardare i giovani in treno: hanno tutti il cellulare in mano, pochissimi invece leggono».

Vuole fare un in bocca al lupo ai ragazzi che iniziano la maturità?

«Con tutto il cuore. Vi abbraccio e vi voglio bene: non evitate le fatiche. Come allenate i bicipiti, allenate anche il cervello!».