Maxi sequestro sui tesori della ’Ndrangheta

Scatta l’operazione Grimilde dei carabinieri, scoperta la rete di aziende illecite che riciclavano il denaro della cosca

Migration

di Valentina Reggiani

I loro affari, gestiti attraverso l’intimidazione tipica dell’appartenenza al sodalizio, passavano anche da Modena. Era così che riuscivano ad acquisire il supporto di imprenditori, professionisti e istituti di credito fino ad arrivare a costituire una fitta rete di aziende illecite intestate a prestanome dove reimpiegare i capitali della cosca cutrese. E, negli anni, avevano studiato nuovi metodi, sempre più insidiosi. Il raggruppamento speciale e il comando provinciale dei carabinieri di Modena, nell’ambito dell’operazione Grimilde, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Bologna hanno inferto l’ennesimo e duro colpo alle cellule dell’ ‘ndrangheta cutrese da anni radicate in particolare nel reggiano, dando esecuzione ad un sequestro d’urgenza di beni per un valore di oltre nove milioni di euro. Parliamo dei patrimoni dei fratelli Antonio e Cesare Muto, indagati insieme ad altre quattro persone: imprenditori a servizio della cosca. L’operazione è stata presentata ieri in conferenza stampa: contemporaneamente qualcuno annunciava l’esplosione di un ordigno all’interno del palazzo di giustizia a Reggio. Un falso allarme lanciato, pare, da una voce con accento calabrese. Antonio Muto è finito in manette nel 2015 e lo scorso anno, nell’ambito del maxi processo Aemilia, è stato condannato a dodici anni di carcere per estorsione e truffa aggravata dal metodo mafioso. Nel patrimonio aggredio rientrano cinque aziende, 12 immobili e 92 veicoli accumulati dai fratelli attraverso la gestione occulta di una fitta rete di aziende illecite e lecite su tutto il territorio nazionale, con il benestare di teste di legno. I sequestri sono stati effettuati a Reggio, Mantova, Parma e Crotone ma, come noto, vi è particolare interesse anche per il nostro territorio dove però è in corso una costante azione repressiva e preveniva. Basti pensare che solo nell’anno corrente sono state emesse dodici interditive nei confronti di altrettante aziende del territorio, escluse quindi dalle white list e e impossibilitate a lavorare con la pubblica amministrazione. Seimila le pratiche vagliate. «Puntiamo a colpire ciò che li rende forti economicamente – spiega il comandante provinciale Marco Pucciatti - le organizzazioni malavitose hanno interesse a inserirsi nel territorio ricco e fiorente ma l’attenzione è alta. Le attività in corso permettono di individuare precocemente i tentativi di infiltrazione. Tentativi sempre più evoluti: proprio grazie ad un provvedimento di interdittiva emesso nel 2013 l’organizzazione fu costretta a rivedere i propri programmi imprenditoriali cambiando strategia». Infatti i fratelli Muto, che rappresentano insieme al pentito Giglio e a Palmo Vertinelli il canale di reimpiego dei soldi dell ‘ndrangheta, colpiti da interdittiva antimafia nel 2013, avevano costituito una nuova società, la Cospar di Parma, puntando su una testa di legno che nulla aveva a che vedere con le varie famiglie del sodalizio. Un tentativo di mostrarle ‘pulite’. Inizialmente le quote delle cellule ‘ndranghetiste finivano nelle mani dei familiari: era a mogli e madri le figure alle quali i boss intestavano le società. Ma c’è pure un secondo aspetto che caratterizza le nuove mafie: i figli dell’ ‘ndrangheta hanno un alto tasso di competenza tecnica poichè vengono preparati al ‘business illecito’ nelle migliori facoltà, affinchè acquisiscano competenze. Devono essere culturalmente preparati per infiltrarsi nel tessuto economico più importante. E’ questa la lungimiranza delle cosche: studiano strategie a livello superiore preparando ‘i cuccioli dei boss’. I fratelli Muto e gli altri quattro indagati rispondono di trasferimento fraudolento di valori, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro di provenienza illecita.