Medico condannato, parla la vedova di Davide Donato: "Poteva essere salvato"

Il professionista non diagnosticò l'infarto che ha stroncato l'uomo

Davide Donato col suo primogenito

Davide Donato col suo primogenito

di MARIA SILVIA CABRI

HA LOTTATO per cinque anni, da quel 29 marzo 2013, giorno della morte di suo marito, Davide Donato. Maria ha lottato per ottenere giustizia, per lui e i loro due figli. E ce l’ha fatta: mercoledì il Tribunale ha condannato a sei mesi con condizionale il medico solierese che assisteva Davide, morto a soli 38 anni a causa di un infarto. I fatti sono tristemente noti: il marito stata percorrendo la Romana Sud quando ha perso all’improvviso il controllo della sua auto, schiantandosi violentemente contro il cancello del centro commerciale ‘Le Gallerie’, all’Appalto di Soliera. Si stava dirigendo in ospedale a Carpi perché i dolori scapolari che avvertiva da una settimana, e che aveva fatto più volte notare al suo medico, non gli erano passati. È morto sul colpo. L’autopsia ha accertato che l’uomo era deceduto per infarto. La moglie, già mamma di un bambino di tre anni, era al tempo all’ottavo mese della seconda gravidanza: si è costituita parte civile, animata dal desiderio di fare emergere la verità.

Come sono stati questi anni?

«Difficili, lunghi e dolorosi. Davide era tutto per me: al dolore della sua perdita ho sommato l’amarezza per quello che ho dovuto sopportare dopo. Non ho mai smesso di lottare: non certo per un risarcimento economico, ma perché volevo giustizia per Davide e per i nostri figli. Volevo sapere la verità».

Quale verità?

«Nella settimana precedente la sua morte, Davide era stato più volte dal suo medico perché avvertiva dolori scapolari. Erano le ‘avvisaglie’ dell’infarto, ma il dottore si è limitato a dirgli che aveva preso un ‘colpo d’aria’ e gli ha prescritto antidolorifici. Quella stessa mattina, quattro ore prima di morire, era tornato dal medico che, senza neanche visitarlo, gli ha dato un antidolorifico più forte. Il medico conosceva la situazione di mio marito. Ogni due anni doveva effettuare una visita cardiologica, perché nella sua famiglia c’è una predisposizione genetica all’infarto. Se il medico gli avesse prescritto una visita cardiologica urgente, Davide potrebbe essere ancora qui con noi.».

Quando ha deciso di costituirsi parte civile?

«Dopo la sua morte, il medico legale ha detto che non sarebbe stata fatta l’autopsia su mio marito in quanto, secondo il medico di famiglia, Davide era deceduto per un aneurisma. Tutta la mia fiducia è crollata: ho pagato a mie spese l’esame autoptico, ho presentato tutta la documentazione che riguardava Davide, sono stata interrogata per ore in Procura».

Cosa ha pensato quando le hanno comunicato l’esito della sentenza?

«Finalmente: uno spiraglio di luce nel buio. Mi sono sempre fatta guidare dai miei avvocati Cosimo Zaccaria e Alessia Massari. Speravo in una pena superiore a soli sei mesi, ma intanto giustizia è stata fatta».

Come ha spiegato la situazione ai suoi figli?

«Dicendo loro la verità, da sempre. Il maschietto ora ha 8 anni, la piccola 5: è nata un mese dopo la morte di Davide. Ho spiegato ogni mia scelta: voglio che una volta cresciuti sappiano che la mamma ha fatto tutto questo per il loro papà. Il giorno della festa del papà, a scuola, il maschietto ha voluto raccontare ai suoi compagni chi era suo padre e come è morto. Resterà sempre il suo eroe».