Sono settimane complicate per la capitale della Motor Valley: nel giro di pochi giorni si sono susseguite in città notizie poco confortanti. Il crollo delle vendite di Maserati, iniziato circa un anno fa, ha raggiunto nel trimestre giugno-settembre il -60% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; Ares Design, il brand di customizzazione di auto di lusso di strada Sant’Anna, ha presentato un piano di rientro dopo mesi di insoluti; in settimana Energica, il primo marchio italiano di motociclette completamente elettriche, ha chiuso i battenti del suo stabilimento a Soliera.
Ma la storia della Motor Valley è piena di crisi, periodi di difficoltà e stelle cadenti. In particolare, c’è stato un periodo a Modena e provincia, a cavallo degli anni ‘90, nel quale una serie di brand di un certo peso hanno visto, per una ragione o per l’altra, interrompersi la loro corsa. È il caso, ad esempio, della Bugatti: lo storico marchio francese diventò italiano nel 1987 grazie all’imprenditore Romano Artioli. Lo stabilimento di Campogalliano (la famosa fabbrica blu) alimentò il mito della Motor Valley e i sogni degli appassionati. L’unico modello prodotto, la EB110, ridisegnò il concetto di supercar, e gli esemplari ancora in circolazione hanno raggiunto in questi anni cifre da capogiro.
Nel settembre 1995, il Tribunale impose la chiusura dell’azienda, con grande sorpresa di tutti i dipendenti, che a 30 anni di distanza ancora si chiedono come sia stato possibile un fallimento tanto repentino quanto inaspettato. Negli stessi anni, in uno stabilimento a Modena Est, prendeva forma il sogno di Claudio Zampolli e di Giorgio Moroder (sì, proprio lui, il famoso compositore): era la Cizeta Moroder, capace di creare un’auto avveniristica disegnata da Marcello Gandini, la V16T, con doppi fanali anteriori a scomparsa e un super motore da 16 cilindri (ancora oggi esclusiva di pochissime hypercar). Tra il 1991 e il 1995 dalla fabbrica uscirono 10 auto, vendute a facoltosi clienti in giro per il mondo. Troppo pochi per tenere in piedi una piccola azienda come la Cizeta (dalla quale Moroder era uscito dopo la presentazione della vettura): nel 1994 Zampolli si vide così costretto a dichiarare bancarotta, riuscendo in extremis a consegnare l’ultima vettura l’anno dopo.
Nel 2001 fu poi la volta della Qvale (si pronuncia Cheil): un’impresa dei fratelli statunitensi Bruce e Jeff Qvale, attiva solo due anni con la produzione della Mangusta, un’auto ispirata alla celebre De Tomaso Mangusta. Lo stabilimento era in viale delle Nazioni, poi acquisito da Maserati per diventare il quartiere generale di Maserati Corse. Infine, nel 2004, dopo 45 anni di attività e successi intramontabili come la Pantera e la già citata Mangusta, chiuse la De Tomaso, il terzo marchio più longevo della storia dei motori di Modena dopo Maserati e Ferrari.
Un brand che per alcuni anni fu anche un vero colosso dell’automotive italiano ed internazionale, visto che il fondatore Alejandro De Tomaso acquisì negli anni il controllo di Benelli, Innocenti, Moto Guzzi e della stessa Maserati. Storie finite e passate negli archivi dell’automobilismo, ma che hanno segnato comunque pagine indelebili. Unite alle recenti cronache nostrane, si può dedurre che per un polo di eccellenza come la Motor Valley, chiusure e fallimenti sono purtroppo dei prezzi da pagare, fisiologici di qualsiasi distretto industriale, tanto più in un mondo come quello dell’automotive, che rimane uno dei settori industriali più complicati da gestire nelle congiunture sfavorevoli.