Lunedì sera nel ’quartiere generale’ della Polisportiva Modena est è in programma la consacrazione a furor di popolo del candidato sindaco del Pd Massimo Mezzetti. Ma nel partito monta l’apprensione su cosa intenda fare il sindaco Gian Carlo Muzzarelli invitato all’evento (ci sarà anche il presidente della Regione Stefano Bonaccini), visto che l’ultimo intervento all’assemblea cittadina Dem ha provocato molti musi lunghi e inviti reciproci ad andare a quel paese. Da ambienti vicini al sindaco trapela che il discorso di Muzzarelli non riguarderà questa volta la centralità del Pd e il discorso della tessera (’non sarebbe la sede giusta’): entrerà piuttosto nel merito di questi 10 anni di amministrazione, illustrando al candidato i progetti e l’idea di città che gli lascerebbe in consegna. Di sicuro però, al di là delle parole, il messaggio che intende far passare da adesso in poi è che lui non si farà da parte. La giunta la decide il sindaco, ovvio, la lista elettorale però la compone il Pd.
Già, la lista. L’orientamento è dare un segnale di compattezza includendo gli 8 (ex) candidati sindaco, molti under 35, oltre allo stesso Muzzarelli in tandem con Ludovica Ferrari o Francesca Maletti. Ebbene, i timori nel partito sono due: se Muzzarelli fa il capolista (per conservare dote politica da investire poi magari quando si tratterà di stabilire futuri incarichi regionali) potrebbe razziare preferenze lasciando agli altri le briciole. Inoltre, averlo in Consiglio comunale significherebbe cedergli un potere di interdizione sanguinoso sulle grandi questioni. In grado, se avesse intenzioni bellicose, di trasformare in un Vietnam amministrativo l’eventuale mandato di Mezzetti. Vedremo. Certo, sibilano nel frattempo tra i Dem, ’un sindaco uscente che si ricandida in Consiglio non si vedeva dai tempi di Egidio Pagani a Fiorano...’.
Intanto si allontanano forse definitivamente le primarie. Alla Rete Rosso Verde e al M5s a quanto pare il nome di Mezzetti piace per lo stesso motivo per cui fa venire l’orticaria a Muzzarelli: è esterno al Pd. In più è un profilo considerato unificante, dal centro alla sinistra.
I nodi piuttosto sono altrove. Innanzitutto il programma. Sia Mezzetti che Paolo Zanca di Azione hanno evocato il ‘Patto per la città’. Ma come comportarsi per esempio, in caso di vittoria, se si decide di votare su Bretella, servizi scolastici e sociosanitari ai privati, insediamenti industriali o ampliamento di quelli già esistenti (polo Conad)? E ancora, eventuale revisione del porta a porta, piano per il diritto alla casa, salario a minimo 9 euro anche per chi lavora in appalto col Comune, piano della mobilità? Reggerebbe la Santa Alleanza?
Per unire il molteplice la Rete Rosso-Verde (cerniera tra il M5S e il mondo a sinistra del Pd) pensa al metodo Melenchon, dal nome dell’esponente socialista francese che è riuscito a coagulare un’ampia coalizione denominata Nupes: si tratterebbe di un programma in cui si esplicitano da un lato i punti su cui si è d’accordo, dall’altro gli argomenti su cui invece la discussione non è conclusa. Contando di acquisire la fiducia degli elettori attraverso un atto di trasparenza.
E tuttavia ’sul programma un’intesa di massima, volendo, lo si trova’, osservano tra gli alleati. Quello che preme davvero, soprattutto al M5s, sarebbe invece ottenere delle garanzie sul dopo voto. La strada è stendere nero su bianco una sorta di decalogo con luoghi e regole di confronto permanente: vertici di maggioranza ogni sei mesi, maggioranza qualificata e non solo semplice sulle decisioni importanti, ripristino delle consulte associative, referendum sugli argomenti più sensibili, organi intergruppo.
E viene in mente la profezia di Muzzarelli all’assemblea: attenzione alla composizione del Consiglio – diceva –. Se il Pd non ha un peso preponderante in aula sugli argomenti più caldi si ‘balla’. Considerazioni che alle orecchie degli alleati sembrano riproporre ‘la nefasta vocazione maggioritaria Dem. Il richiamo antifascista non basta più. Si discute e si condivide. La coalizione è plurale. O non è’.