"L’imputato, con totale noncuranza, imperizia, imprudenza e negligenza violava arbitrariamente e scientemente le regole poste a presidio della incolumità dei lavoratori: è del tutto evidente la sua responsabilità penale in ordine al reato a lui ascritto". Sono queste le motivazioni che hanno portato il Giudice Natalina Pischedda a condannare a tre anni e mezzo Jacopo Setti, il responsabile della sicurezza della Bombonette di Camposanto dove il 3 agosto del 2021 morì schiacciata in una fustellatrice Laila El Harim. Setti (nipote di Fiano, fondatore della società e secondo indagato nell’inchiesta, nel frattempo deceduto) era accusato di omicidio colposo in concorso con l’aggravante di essere stato commesso con la violazione delle norme antinfortunistiche. "Proprio in virtù della posizione di garanzia datoriale Jacopo Setti avrebbe dovuto valutare i rischi connessi all’uso della macchina fustellatrice in modo difforme a quanto previsto nel manuale di costruzione – scrive il giudice nelle motivazioni –, valutare i rischi derivanti dall’esistenza di una prassi consolidata che portava i lavoratori ad accedere nella zona di uscita del macchinario, in totale violazione di quanto previsto dal manuale di istruzioni ed esponeva i lavoratori al rischio del contatto con gli organi in movimento del macchinario. Avrebbe poi dovuto occuparsi della corretta formazione e addestramento della lavoratrice, per assicurare che la stessa utilizzasse il macchinario in modo conforme a quanto previsto dal costruttore". Il giudice ha rigettato quindi la tesi della difesa, che sosteneva come in realtà fosse il nonno Fiano ad occuparsi di tutto e non il nipote, che era in azienda da pochi mesi. Nella sentenza emerge con forza come alla Bombonette vi fosse una: "Consolidata e pericolosissima prassi aziendale nel fare introdurre i lavoratori nel macchinario per inserire dei pareggiatori in gomma. "Certo ed evidente – afferma il giudice – è che la lavoratrice non doveva essere all’interno del macchinario, non doveva inserire quei pareggiatori aggiuntivi e che ciò avveniva non per un comportamento anomalo della operatrice (dato mai contestato dalla difesa medesima) ma per una consolidata prassi aziendale introdotta in modo arbitrario ed esistente da tantissimi anni". Nella sentenza si affronta poi ‘il tema’ della totale assenza di formazione e informazione della lavoratrice. "La vittima veniva formata e addestrata a usare il macchinario in modo difforme a quanto previsto dal costruttore".
Valentina Reggiani