«Non boicottate i locali cinesi Se continua così attività a rischio»

L’appello dei titolari e dipendenti del Kokoro, in via Emilia Ovest: «I giovani sono più informati» Il negozio di abbigliamento orientale di via Giardini registra un calo di vendite del 30 %

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di Francesco Pioppi

Il Coronavirus inizia a terrorizzare anche Modena. I primi morti sul territorio italiano e la diffusione, ormai difficilmente controllabile, ha mutato radicalmente le abitudini. Basta fare un giro per i locali gestiti da persone di chiare origini orientali per toccare con mano quanto la fobia stia diventando consistente. è il caso del Kokoro, rinomato ristorante di cucina cinese e giapponese in via Emilia Ovest.

«Abbiamo avuto un calo significativo soprattutto alla sera, un momento in cui di solito abbiamo una clientela più adulta e senza dubbio più diffidente - spiega Jing, la titolare - a mezzogiorno invece il flusso è più o meno il solito anche perchè ci sono tanti giovani e loro sono sicuramente meno apprensivi». Tra i camerieri che lavorano qui abitualmente c’è Carlo Rossi, laureando in Scienze Infermieristiche che, in questi giorni concitati, sta cercando di rassicurare i clienti, riportandoli a una realtà plausibile e non catastrofistica.

«Il calo è sotto agli occhi di tutti - spiega - ma non credo sia giustificato o giustificabile: i boicottaggi sono frutto dell’ignoranza perchè non è possibile pensare che mangiare in un ristorante giapponese o cinese costituisca seriamente un rischio. Noi camerieri siamo quasi tutti italiani e non abbiamo paura, a inizio e fine turno mangiamo assieme ai colleghi, che sono tutti cinesi, senza alcun timore. Speriamo che la gente capisca che non ha senso boicottare questo tipo di locale per partito preso». Eppure la diffidenza serpeggia anche tra quelli che, ingolositi dalle prelibatezze del Kokoro, si siedono ai tavoli pronti a consumare. «E’ successo che alcune coppie mi abbiano chiesto ‘ma tu che sei italiano dicci la verità, c’è da fidarsi a mangiare qui? è sicuro? C’è un allarmismo eccessivo, io nel mio piccolo cerco di renderli più coscienti».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Francesca Cevolani, collega di Carlo: «Questa fobia nei confronti del Coronavirus è insensata, le persone che si ammalano sono poche e bisogna togliersi dalla testa che tutti i cinesi lo siano oppure che possano aver avuto contatti con qualcuno che è infetto. Le persone che ci sono qui da noi, nel nostro staff, sono in Italia da tantissimo tempo e non arrivano dalla Cina. Per fortuna la maggior parte delle persone che viene qui non è ovviamente diffidente, ma qualcuno che chiede conferme o rassicurazioni c’è sempre».

Un boicottaggio simile pare esserci anche nei confronti di altre attività, sempre gestite da cittadini cinesi, come nel caso di ‘Enne A Store’, negozio di abbigliamento, oggetti per la casa e profumi di via Giardini. . Il nostro sopralluogo in uno store di generi alimentari vicino alla stazione finisce praticamente prima di iniziare con i gestori che ci invitano a togliere il disturbo e ci proibiscono di fotografarli. Sembrano passati secoli dal nostro ‘esperimento’: un giro in centro con Monica, una cameriera nativa di Shangai, per capire le reazioni dei passanti. il ‘test’ fatto il 4 febbraio scorso, aveva di fatto portato alla luce una popolazione modenese per nulla spaventata da una persona di chiare origini orientali. Adesso, probabilmente, avremmo un riscontro diverso.