"Oltre 7mila pazienti nell’ospedale da campo"

Il dottor Stefano Toscani coordinò i soccorsi: "Alle 4.20 del 20 maggio ero già al Santa Maria Bianca, 88 ambulanze per evacuarlo"

Migration

di Maria Silvia Cabri

E’ stato indubbiamente tra le figure di riferimento fin dalle prime scosse di terremoto della notte del 20 maggio 2012: sempre in prima linea, senza mai risparmiarsi. Il dottor Stefano Toscani dieci anni fa era direttore del Dipartimento Interaziendale di Emergenza-Urgenza e dell’Unità operativa di Pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria Bianca di Mirandola. E proprio in quei giorni è stato nominato anche Referente medico per la Protezione civile per l’area del cratere. A fine dicembre 2021, dopo 32 anni di servizio presso l’Azienda Usl di Modena, Toscani è andato in pensione, ma il ricordo è indelebile.

Dottore, qual è il primo ricordo del 20 maggio 2012?

"Stavo dormendo a casa mia che si trova a 300 metri dall’ospedale di Mirandola. Non ho esitato un attimo: alle 4.20, in bicicletta, mi sono recato al Pronto soccorso. C’erano già molti pazienti fuori dalla struttura. Dopo mezz’ora avevo effettuato una prima ricognizione dell’ospedale: i controsoffitti un po’ ovunque, ma soprattutto del Pronto soccorso, avevano ceduto. Occorreva agire velocemente. Alle 6 sono arrivati i vigili del fuoco, ricordo ancora le parole dell’ingegnere capo: ‘Dottore, bisogna evacuare l’ospedale’".

Cosa è successo da quel momento?

"Alle 6.30 abbiamo disposto l’evacuazione di tutto l’ospedale e fu molto complesso gestire i pazienti, una operazione che è durata fino alle 15.30 del giorno successivo, tenuto conto che vi erano utenti allettati e non era possibile usare gli ascensori. Alle 8 sul piazzale innanzi all’ospedale vi erano 88 ambulanze provenienti dalla Protezione civile di tutte le province; ho riunito i vari primari e abbiamo fatto un censimento dei pazienti dimettendo quelli dimissibili e stabilendo la destinazione degli altri verso Policlinico e Baggiovara". Quanti pazienti c’erano quella notte?

"Erano 140: 40 sono stati dimessi, gli altri sono stati trasportati con le oltre 80 ambulanze a Modena. Nel mentre però c’era da gestire un’altra urgenza".

Quale?

"Quella dei cittadini che nel frattempo arrivavano al Pronto soccorso. In totale ne abbiamo presi in carico 90 di cui 10 in codice rosso (c’era stato anche chi per la paura si era buttato dal secondo piano) e 13 in codice giallo. Numeri elevatissimi ma ancora ‘nulla’ rispetto al 29 di maggio quando nelle prime ore abbiamo dovuto prendere in carico ben 290 cittadini".

Cosa è successo dopo l’evacuazione?

"Nel pomeriggio, attraverso la Protezione civile, abbiamo allestito un ospedale da campo che è rimasto attivo fino ad agosto. Abbiamo cercato di garantire i ’reparti’ necessari: pronto soccorso, cardiologico-internistico, ostetrico-pediatrico, chirurgico-ortopedico, cui poi si è aggiunto anche il modulo geriatrico (visto anche il fenomeno degli anziani abbandonati dalle badanti che erano scappate dalla paura) e quello della radiologia grazie all’aiuto degli alpini. Dal 20 maggio al 31 agosto sono passati per l’ospedale da campo 7500 pazienti di cui 300 trasferiti a Baggiovara o Policlinico".

Eravate presenti anche nei campi della cittadinanza?

"Erano 40 i campi anche autogestiti: in ognuno abbiamo garantito un presidio sanitario occupandoci di 16.000 persone. Gli stessi medici di medicina generale che avevano perso i loro ambulatori per i crolli si sono messi a disposizione".

Qual è stato il momento più difficile per lei?

"Sicuramente le prime ore quando eravamo tutti impauriti e spaesati. I primi 10-15 giorni sono stati quelli della ‘fase eroica’: la risposta è stata immediata. Una delle cose più belle che ricordo è stato proprio il rapporto diretto con la popolazione, con vero spirito di squadra".

L’attuale direttrice del Pronto soccorso dell’ospedale di Mirandola, Sonia Menghini, nel 2012 lavorava già nel reparto. "Mi sono resa veramente conto di quanto fosse drammatica la situazione quando sono arrivata in ospedale e ho visto barelle ovunque. L’immagine che più mi colpiva era quella degli anziani: al di là del soccorso medico, vedevo nel loro sguardo il vuoto unito a un’enorme paura. Ho capito che il nostro compito era quello non solo di prestare l’assistenza sanitaria ma anche psicologica. Ho messo da parte la mia paura per prendermi cura di loro, e così molti altri colleghi". Per documentare lo sforzo della sanità dopo il sisma, l’Ausl ha prodotto un documentario intitolato ’Negli occhi di tutti’ che raccoglie varie testimonianze.