Parroci, non più l’uomo solo al comando "Ora gestione condivisa con i laici"

La ‘rivoluzione’ possibile nella conduzione delle chiese annunciata da don Seghedoni di San Pio X

Migration

di Gianpaolo Annese

Non più ‘l’uomo solo al comando’: il sacerdote sarà affiancato dai laici in una gestione sempre più corale della parrocchia. Nella chiesa di san Pio X in via san Giovanni Bosco sta prendendo forma un nuovo progetto che potrebbe alla lunga ‘rivoluzionare’ il modello di conduzione delle chiese rispetto a quello a cui siamo abituati. Il parroco don Ivo Seghedoni (nella foto) ne ha parlato nelle ultime omelie.

Don Ivo, come nasce l’esigenza di una gestione collettiva della parrocchia?

"Non si tratta di una gestione ’collettiva’, ma di una conduzione sinodale della parrocchia. Nasce sulla spinta del Sinodo internazionale dei Vescovi e del Sinodo italiano che assumono la sollecitazione di Papa Francesco ad una ‘conversione missionaria’ di tutte le strutture ecclesiali, affermando anche che ‘l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti’. Nella parrocchia di san Pio X stiamo lavorando da quasi un anno a questo progetto di una conduzione più sinodale della comunità, che, peraltro, è già operativa da tempo in differenti ambiti: quello caritativo e quello amministrativo, ad esempio”.

Nell’omelia ha detto riferendosi al ruolo del parroco: ‘Non più l’uomo solo al comando’.

"Come Papa Francesco ha spesso affermato uno dei mali della Chiesa è il clericalismo, che è come un tango: si balla sempre in due. Vi è un clericalismo dei preti, quello per il quale si pensa che la Chiesa sia fatta dal clero e che i fedeli ne siano solamente i beneficiari o la clientela o, peggio, i sudditi; ma vi è anche un clericalismo dei laici, a volte comodo e deresponsabilizzante, mentre in altri casi i laici vengono clericalizzati diventando una ’piccola élite attorno al prete’: allora finisce anche per snaturare la missione del laico. Occorre superare il clericalismo verso una guida più condivisa e più fraterna della comunità superando la logica del ‘parroco decide’ e i ‘parrocchiani si adeguano’".

A quali ambiti si applica la sinodalità in una parrocchia?

"In ogni ambito della vita di una comunità parrocchiale. Cioè in ogni settore occorre esprimere una leadership condivisa, una guida non solo individuale, non solo maschile, non solo clericale. Se al prete rimane di dover far sintesi di posizioni differenziate, questo non significa che ‘alla fine deciderà lui’, ma che lui si deve esercitare ad un ascolto più intenso e accettare di lasciarsi contaminare, non di rado convertire, dalle voci differenti dalla sua. Per farci capire in modo semplice, la sinodalità è possibile se i laici fanno passi avanti e il prete fa passi indietro".

Come selezionerete e quante saranno le persone coinvolte nel progetto?

"Non si tratta di ‘selezionare’, ma piuttosto di riconoscere. Una comunità cerca di essere sulla via della proposta cristiana quando al suo interno non vincono le logiche di competizione e di emarginazione, ma piuttosto ciascuno cerca di riconoscere i doni degli altri e di consentire a ciascuno di trovare il suo proprio spazio. Per questo l’esercizio della sinodalità è molto più che esercizio di democrazia. Ed è per questo che è tanto difficile. È il vangelo che cerca un luogo per non essere solo ‘utopia’ e realizzare la parola di Gesù ’Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli’ (Mt 23,8)".