"Preti, non c’è solo la messa Don Mattia soccorre i deboli"

Minacce al cappellano della Ong, il vescovo sull’archiviazione chiesta dai pm: "Un errore dare un’immagine così parziale del magistero sacerdotale"

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di Paolo Tomassone

Per papa Francesco è un imperativo: il prete deve mantenere il contatto con la gente. Lo ha ripetuto anche poche settimane fa parlando ai seminaristi, quelli che in futuro verranno consacrati: "se tu le allontani le persone, sarai un teorico, un teologo bravo, un filosofo bravo, un curiale bravissimo che fa tutte le cose, ma hai perso la capacità di sentire l’odore delle pecore. Anzi, la tua anima ha perso la capacità di lasciarsi svegliare dall’odore delle pecore". Ecco perché un sacerdote non può essere confinato dietro all’altare. Men che meno se a volerlo chiuso in chiesa a predicare la domenica durante l’omelia è un pubblico ministero da dentro le mura del suo tribunale.

A ribadirlo è il vescovo di Modena che interviene dopo la decisione della procura di Modena di archiviare la denuncia per diffamazione e minacce gravi presentata da don Mattia Ferrari, aiuto parroco a Nonantola e cappellano della Ong Mediterranea Saving Humans. Minacce che secondo il pm Pasquale Mazzei sono "prive di rilevanza penale" per tutta una serie di motivazioni giuridiche sulle quali mons. Erio Castellucci non vuole giustamente esprimersi. Una delle motivazioni della procura, tuttavia, entra direttamente nell’ambito della missione pastorale del presbitero, "che invece compete anche ad un vescovo". Il magistrato, come si legge nella richiesta di archiviazione depositata in tribunale, ritiene che "chi porti il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale – e lo faccia propalando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti, inevitabilmente è destinato a confrontarsi con i frequentatori di quel mondo".

"‘Gli ambiti tradizionali’ nei quali si ‘estrinseca’ il mandato pastorale – fa notare mons. Castellucci – non sono semplicemente quelli ‘riservati e silenziosi’ indicati in questo passaggio. La missione presbiterale non si limita infatti alla liturgia, all’accompagnamento spirituale o alla catechesi ma, proprio in virtù di questi atti ministeriali. Può assumere rilievo anche in ambito pubblico, quando le circostanze lo portino a prendere posizioni contro quelle che il ministro ordinato ritiene ingiustizie incompatibili con il Vangelo". Sottolineature a cui si è giunti già sessant’anni fa durante i lavori del concilio Vaticano II, che in uno dei suoi documenti conclusivi (Presbyterorum Ordinis) definisce da parte del magistero cattolico gli "ambiti tradizionali" della missione dei presbiteri: "anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli". "Normalmente questo servizio viene portato avanti dai sacerdoti nella pastorale ordinaria delle comunità cristiane – prosegue il vescovo di Modena –, ma talvolta può assumere modalità straordinarie, in accordo con i loro vescovi. In ogni caso, i toni che i ministri ordinati possono e devono utilizzare per difendere poveri e deboli, tra i quali certamente sono da annoverare i profughi, sono i toni evangelici, da modulare a seconda dei contesti: dal linguaggio forte della pubblica denuncia a quello mite del perdono, nessun accento deve essere preventivamente escluso, come ci insegnano anche i pontefici, tranne naturalmente i linguaggi diffamatori e minacciosi". Dopo le numerose attestazioni di solidarietà a don Mattia da parte di associazioni cattoliche e non cattoliche, di partiti politici e di rappresentanti delle istituzioni, anche il vescovo si congeda esprimendo fiducia nell’opera dei magistrati, con l’auspicio "che le ulteriori valutazioni della vicenda considerino una corretta e integrale visione del ministero sacerdotale, evitando di darne un’immagine così parziale e ristretta".