"’Profezia’, il ritorno dello sguardo utopico"

Al teatro Pavarotti Freni domani la prima assoluta dell’opera dedicata a Pasolini, con testo di Cappellano e musiche di D’Amico

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di Stefano Marchetti

"Alì dagli occhi azzurri, uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini... per insegnare ad essere liberi... per insegnare come si è fratelli". Era il 1964 quando Pier Paolo Pasolini scriveva questa ’Profezia’ nel suo ’Libro delle croci’. E a rileggerla oggi si resta colpiti dalla potenza di versi che prefigurano un mondo (il nostro) dove nulla e nessuno sono più come prima. È da questa ’Profezia’ che, nel centenario della nascita di Pasolini, prende corpo la nuova opera commissionata dal teatro comunale Pavarotti Freni, con il testo di Sandro Cappelletto e le musiche di Matteo D’Amico e dei ‘mitici’ fratelli Enzo e Lorenzo Mancuso che si uniranno all’Ensemble strumentale del comunale (Michaela Bilikova, Silvia Chiesa, Stefano Borghi e Saria Convertino) e al soprano Sabrina Cortese, con le voci narranti di Alessandra Arcangeli e dello stesso Cappelletto, la direzione di Stefano Seghedoni e la regia di Carlo Fiorini. Prima assoluta dell’opera, domani alle 20, replica domenica alle 15.30.

Cappelletto, cosa ci ‘dice’ questa Profezia?

"Nella visione di Pasolini la storia è finita perché siamo diventati troppo egoisti, non siamo più capaci di chiamare fratelli altri uomini come noi. E la sua analisi diventa una profezia. L’arrivo di Alì dagli occhi azzurri non è una tragedia, ma una salvezza..." - Già, ma chi è questo Alì?

"È un’immagine, un simbolo di redenzione: non potrebbe esistere un Alì con gli occhi azzurri, e se hai gli occhi azzurri non ti chiami Alì. È l’Oriente antico, con tutto il suo sapere misterioso, che abbraccia l’Occidente razionale, superando ogni conflitto e portando nuova vita, la grazia del sapere e occhi senza paura, come diceva Pasolini". Come la porterete in scena? "Come una specie di dialogo fra noi e Pasolini che risponde attraverso i suoi scritti. Iniziamo con una citazione della sua ultima intervista, ‘Io scendo all’inferno, ma state attenti, l’inferno sta salendo da voi’, e terminiamo con l’invito a ‘splendere’, cioè a tirare fuori il meglio di noi stessi, a non accettare la mediocrità. Un grande specchio si infrangerà e si ricomporrà più volte, lasciando sempre al centro le due braccia della Croce: il tema della crocifissione, che è morte ma anche resurrezione, è sempre centrale in Pasolini. In lui la carne e il cielo si incontrano".

E quale sarà la ‘tessitura’ musicale dell’opera?

"Abbiamo cercato di far convivere due mondi, la musica contemporanea con quella che affonda le radici in un passato metastorico e che è rappresentata dai fratelli Mancuso: con i loro strumenti, incarnano la civiltà mediterranea, l’arcaico che ritorna al presente. E avremo anche citazioni o ricordi di Bach, come nel finale di ‘Accattone’, un capolavoro".

Quale ‘morale’ ci lascia questa Profezia?

"Ci rivela la necessità di uno sguardo utopico, ovvero di credere anche in quello che appare paradossale, e di riscoprire la bellezza del desiderio che sembrerebbe più irrealizzabile. È un messaggio che noi vediamo rivolto soprattutto ai giovani, a chi ha vent’anni e non c’era quando Pasolini scriveva".