Prostitute come schiave: dodici arresti

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SPIETATI, calcolatori, aggressivi. Pronti a tutto, anche ad uccidere, per assicurarsi il monopolio del territorio dove far prostituire giovani lucciole, costrette a turni massacranti e a violenze di ogni genere. Dopo un’indagine delicata, partita da una pericolosa sparatoria avvenuta tra due auto in via Emilia Est, località Fossalta nella notte del 5 aprile dello scorso anno, gli uomini della mobile, coordinati dalla procura hanno eseguito ieri l’ordinanza di misure cautelari emesse dal Gip Eleonora Pirillo nei confronti di dodici albanesi; sei dei quali sono finiti in carcere mentre tre risultano latitanti. Parliamo di stranieri privi di permesso di soggiorno - ogni tre mesi si recavano nel paese d’origine per poi rinnovare il visto - accusati di sfruttare una ventina di ragazze ucraine e albanesi tra i diciotto e i quarantadue anni sulla via Emilia, da Modena a Castelfranco. Gli sfruttatori sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e spaccio. L’indagine, coordinata dal pm Pasquale Mazzei ha permesso di sgominare una banda di uomini violenti formata da due fazioni dalla caratura delinquenziale elevata: la vecchia e la nuova in guerra per la spartizione del territorio. Una guerra che non è finita nel sangue solo grazie all’intermediazione di uno sfruttatore albanese, Alberto Bicerri, residente a Rubiera, nel reggiano, anche lui in manette. E’ stato però il coraggio di una giovane lucciola a permettere agli inquirenti di mettere insieme i tasselli del puzzle: la ragazza, infatti, si è rivolta alla polizia ancor prima che la lite tra le fazioni sfociasse in una sparatoria. La giovane si è confidata con gli agenti, spiegando di essere costretta a vivere in condizioni di schiavitù al pari delle altre ragazze. Le lucciole, che spesso erano anche le ‘donne’ degli sfruttatori - seppur contro la propria volontà -, venivano reclutate nei paesi d’origine. Sapevano che, una volta in Italia, avrebbero venduto il proprio corpo. Quello che però la banda non diceva loro erano le condizioni drammatiche in cui sarebbero state costrette a vivere: picchiate, umiliate e private della libertà personale. Per loro la giornata di lavoro iniziava alle 20 e terminava all’alba. Erano gli stessi albanesi ad accompagnarle in strada per poi seguirle a distanza mentre prendevano contatti coi clienti, pretendendo messaggi su spostamenti e prestazioni: trenta euro per un rapporto non completo, quaranta per uno completo quasi sempre consumato negli appartamenti affittati dalla banda a San Damaso, sorvolati ieri dagli elicotteri della polizia. Al termine della giornata le prostitute consegnavano nelle mani degli sfruttatori dai 300 ai 400 euro e, l’indomani, l’incubo ricominciava. «Nell’ordinanza il gip ha definito il gruppo particolarmente feroce – ha spiegato Salvatore Blasco, dirigente della mobile – utilizzavano le armi con facilità e costringevano le giovani lucciole a vivere in una condizione di violenza da cui difficilmente si riuscivano a liberare. Quando li abbiamo catturati erano impassibili, stupiti: credevano che le forze dell’ordine mai sarebbero arrivate a punirli».