Quel patto inesistente col Comune

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UN VESCOVO che fa affari col Comune, da cui si fa finanziare l’evento clou della diocesi di Carpi, garantendo in cambio appoggio politico all’ex vicesindaco della città dei Pio, Simone Morelli. E’ stato dipinto così, dai carabinieri carpigiani che hanno portato avanti per mesi l’indagine Mangiafuoco, monsignor Francesco Cavina: una marionetta nelle mani del burattinaio Morelli. Peccato però che Carpi non sia il ‘paese dei balocchi’ e che il castello accusatorio non abbia passato il vaglio del pm Claudia Natalini, che ha chiesto l’archiviazione per gran parte delle accuse contestate a 22 indagati per un «malcostume» nell’assegnazione degli appalti del settore cultura, diventata oggetto anche di un’inchiesta giornalistica pubblicata dall’Espresso. Tra questi c’era anche Cavina, a cui veniva contestato il voto di scambio in favore di Morelli, che ‘tramava’ contro il suo sindaco Bellelli ma poi non si è nemmeno candidato. Un’inchiesta che ha visto il vescovo iscritto sul registro degli indagati, intercettato per mesi durante i quali è stato violato anche il segreto confessionale. Certo un prelato non è immune a una inchiesta penale, ma alla luce dell’archiviazione delle accuse a suo carico, era davvero necessario? viene da chiedersi. Era la fine di luglio dell’anno scorso, quando Cavina chiese un preventivo a una azienda di Ferrara per uno spettacolo di luci e videoproiezioni da tenere in piazza a Carpi in occasione del rientro nella cattedrale della Madonna: soddisfatto della proposta artistica, firmò un contratto comunicando che la diocesi avrebbe finanziato il progetto. Un progetto che, evidentemente, piaceva al Comune e, come si evince dalle carte, soprattutto a Morelli.

Iniziò così una fitta rete di incontri

e telefonate tra l’allora vicesindaco Morelli e Simone Ramella, uomo vicino alla curia: Morelli voleva finanziare lo spettacolo e questa possibilità venne paventata a monsignor Cavina, che però era titubante e manifestò le sue perplessità. La sensazione è che il politico e l’imprenditore volessero ‘impossessarsi’ del progetto, finanziarlo per compiacere il vescovo, che però manifestò i suoi dubbi. Ormai il Comune, però, aveva preso in mano il progetto, l’azienda ferrarese chiese garanzie e a poche settimane dall’8 dicembre non sapeva ancora chi avrebbe pagato lo spettacolo. Il vescovo sottolineò più volte che i soldi alla Curia non mancavano, ma Morelli insistette per fare una «donazione» alla diocesi per sostenere le spese delle ‘fontane danzanti’, dopo aver perso tempo prezioso nel pianificare bandi, assegnazioni dirette e formule che mascherassero la cifra da destinare alla Curia. Una gestione folle dell’evento, insomma, poi annullato all’ultimo momento per le perquisizioni dei carabinieri in Comune. Ma nessun reato accertato. Il timore del Vescovo, cioè il fatto che la manifestazione potesse saltare, si materializzò insieme all’inchiesta per voto di scambio. L’inizio di un incubo giudiziario, finito solo con la richiesta di archiviazione avanzata dal pm e accolta dal giudice.

Di questa inchiesta - che ipotizzava anche turbative nell’assegnazione della notte bianca e del capodanno, rimangono in piedi 4 capi di imputazione contro tre indagati: Simone Morelli è ancora accusato di tentata concussione per aver cercato di sistemare un dehor all’esterno di un bar e di tentata diffamazione nei confronti del sindaco di Carpi, insieme all’esponente leghista Stefano Soranna. L’ultima accusa ancora in piedi è quella di frode contestata a Ramella, per aver chiesto una quota non dovuta ai commercianti che parteciparono alla notte bianca. Il pm sta decidendo se procedere o chiedere l’archiviazione anche di questi reati.