Terremoto 2012 a Finale “Quella scossa ci ha raggelato il sangue”

Arturo Panzanini, 53 anni, era nella squadra dei vigili del fuoco che per prima è intervenuta a Finale la notte del 20 maggio 2012 "Durante il tragitto verso la Bassa vedevamo intorno a noi edifici distrutti. Ho temuto di non rivedere più la mia famiglia"

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di Valentina Beltrame

Un destino segnato. Figlio e nipote di pompieri, è nato in una caserma a Finale Emilia, ultimo baluardo dei vigili del fuoco nella bassa modenese. Non poteva fare altro nella vita Arturo Panzanini, 53 anni. Del resto anche la natura ha fatto la sua parte, dotandolo di una stazza considerevole e un cuore grande. Che però si scioglie tornando al quel 20 maggio 2012, la notte del terremoto che proprio a Finale scelse il suo epicentro.

Come vive questo decennale?

"E’ impossibile dimenticare quei giorni, la testa va spesso a quella notte là... non solo ora che si avvicina l’anniversario".

Ci racconti quella notte.

"Ero al distaccamento di Modena, turno di notte e prima partenza. Cioè la mia squadra era la prima a partire in caso di intervento. Sentimmo la scossa, poi dal microfono dissero ’epicentro a Finale Emilia’. Mi si è raggelato il sangue. Siamo partiti subito per il soccorso di una bambina sotto le macerie. Credo che per me, quei 44 chilometri tra Modena e Finale, non siano mai stati così lunghi".

Com’è stato il tragitto?

"Terribile, chiamavo la mia fidanzata incinta e mio padre ma nessuno mi rispondeva. Non funzionavano i telefoni. I miei colleghi, tra cui i miei grandi amici Sauro e Corrado, cercavano di tranquillizzarmi, mi ripetevano che i miei di sicuro stavano tutti bene. E fu così. Ma per la strada si incontravano già i primi casolari crollati".

E quella bambina?

"Siamo arrivati agli Obici, io conosco tutti a Finale e mi son trovato davanti una mia cara amica che mi disse: ’Arturo aiutaci, c’è la Vittoria là sotto’. Era la mamma della bimba. Non sapevo se era viva o morta. E’ stato un momento micidiale. Era crollata la torretta della loro casa. Quando siamo entrati - abbiamo operato insieme ai colleghi volontari di Finale - abbiamo liberato la piccola che aveva circa 7 anni, l’ho mostrata alla mamma dalla finestra immediatamente, per farle vedere che stava bene. E’ stata una liberazione. La bambina non disse nulla, era sotto choc, poverina. Adesso è una ragazza e ci vediamo spesso".

Lei è finito su tutte le tv mentre parla in dialetto e porta una nonnina fuori dalla zona rossa... Ce lo racconta?

"Era la Maria, la mia vicina di casa, suo marito era grande amico del mio papà, mi ha visto crescere. E’ mancata due anni fa. Era rimasta nascosta in casa anche quando la zona era stata evacuata. Io ero impegnato in una ispezione nella Finale distrutta. Erano passati 5 giorni dal primo terremoto. Non doveva esserci anima viva in giro, invece a un certo punto vedo una cosa muoversi. Chiedo: ’Chi va la?’. E lei mi risponde in dialetto: ’Vado a prendere il pane’. Ma il forno non esisteva più. Girava tra le macerie del castello con un sacchetto in mano, era spaesata. Così mi son messo a parlarle in dialetto e piano piano l’ho portata fuori, anche se lei cercava sempre di portarmi verso casa sua. Non voleva lasciarla".

In quei giorni nessuno riusciva a farla smettere di lavorare...Come l’ha presa la sua futura moglie?

"Lei è stata fantastica, sa che se sposi un pompiere va così. Noi dovevamo ancora sposarci, abbiamo dovuto rimandare il matrimonio. Ma le promisi che appena sarebbe nato nostro figlio Vittorio avrei ripreso con i turni normali. Però è vero, sono andato avanti per giorni lavorando h24, non potevo smettere. Sono di Finale, nel centro operativo che era stato allestito arrivavano persone a chiedere aiuto e le conoscevo tutte, sapevo i loro trascorsi, i loro problemi".

Anche la sua casa era crollata...

"Sì, non è stato semplice anche perché avevo un padre anziano ed Elena era incinta. La casa è poi stata abbattuta e ricostruita. Spero di poterci entrare a dicembre. Per me è come chiudere un cerchio".

Cosa sa suo figlio del terremoto?

"Quello che gli abbiamo raccontato, passeggiando dove ora la torre dell’orologio non c’è più. E quello che gli hanno spiegato le maestre, sotto forma di ’favola’. Il paese rinascerà, a settembre riaprirà il Duomo, è un segno di speranza".

Dopo tanti anni di interventi non è un po’ stanco?

"Io il mio lavoro lo amo alla follia, è il mestiere più bello del mondo".

Lei è anche impegnato nel volontariato...

"Sì, da 30 anni con l’associazione ’Aggiungi un posto a tavola’. Cerchiamo di fare quello che possiamo per i bambini, i disabili, chi ha bisogno insomma. Ma adesso devo andare, c’è un incendio e siamo in partenza".