Querelle storica sulle origini dell’Oronero

Giorgio Giusti in un libro certifica la nascita del Balsamico nel Modenese. Ma Sgarbi: "Prime tracce alla corte Estense di Ferrara"

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di Stefano Marchetti

Ma davvero in quella gelida notte di fine gennaio del 1598, quando Cesare d’Este abbandonò Ferrara per trasferirsi a Modena, la nuova capitale del ducato, sui suoi carri c’erano anche alcune botticelle di aceto balsamico? Il prelibatissimo nettare sarebbe dunque ‘nato’ a Ferrara? "Assolutamente no. Quello che gli Estensi conoscevano a Ferrara poteva essere un buon aceto di vino, aromatizzato o meno, con o senza mosto, ma l’aceto balsamico lo trovarono soltanto all’arrivo a Modena: anche perché non si poteva produrre che qui", sostiene convinto l’avvocato Giorgio Giusti, appassionato collezionista non solo di arte, ma anche di storie e di storia.

Eppure – guardando la stessa vicenda da Ferrara – Vittorio Sgarbi, con il consueto piglio (e il gusto della provocazione), la pensa diversamente: "Non è difficile immaginare che sulle carrozze del duca ci fossero anche preziose botti di buon aceto invecchiato – ribatte –. E non c’è dubbio che tra i piaceri sofisticati di Marfisa d’Este (che si fermò spavaldamente a Ferrara anche dopo la devoluzione dello Stato Estense) dovesse esserci una riserva di aceto balsamico per il quale era stato predisposto il grande loggiato degli aranci nel giardino della palazzina".

Allora, qual è la terra d’origine dell’aceto balsamico? Modena? Ferrara? O magari Canossa, terra della mitica contessa Matilde?

La querelle non è nuova, ma riemerge con forza e simpatia grazie a "Oronero", il bel libro curato da Giorgio Giusti e pubblicato dalla Galleria Mazzoli. Con scrupolo di ricercatore e precisione da Perry Mason, l’autore ci accompagna in "una storia, un viaggio, un labirinto", come recita il sottotitolo. Giusti ha studiato carte, documenti, testimonianze e ci offre un’indagine puntigliosa (e perfino intrigante) per dimostrare come il balsamico non possa che essere e dirsi modenese. Una ‘prova’ su tutte?

"Certamente il clima che a Ferrara è ben diverso da quello di Modena, poco favorevole alle trasformazioni del prodotto – sottolinea –. Il balsamico in inverno fa il ghiro, per poi ‘esplodere’ con l’estate. È un prodotto ‘aereo’ che ha bisogno della follia del nostro clima". Del balsamico non c’è traccia nella cucina ferrarese, non ne parlava Cristoforo da Messisbugo, cuoco dei duchi: alla tavola estense si utilizzavano altri tipi di aceto, come l’agresto. Nei secoli – aggiunge Giusti – si è cercato spesso di legare l’origine del balsamico agli Estensi, come per dargli un’aura di lusso: in realtà nacque dal basso, dalla borghesia agraria o da una bassa nobiltà, emblemi di una terra modenese di sempiterni trasformatori.

Tuttavia, nella sua introduzione al libro, Vittorio Sgarbi si diverte a ribaltare il punto di vista: "In ambienti segreti della Palazzina di Marfisa a Ferrara ho trovato alcune residue botti, dove non vino ma aceto era maturato nei secoli. Mai ho sentito un sapore più intenso e sublime", scrive. Insomma, secondo il celebre storico dell’arte, gli Estensi a Ferrara erano già ‘balsamici’ e se Modena ormai ha tutti i primati, il lambrusco, la Ferrari, Pavarotti, le figurine Panini, Bottura e l’Accademia, "a Ferrara lasciateci almeno l’aceto balsamico", aggiunge con ironia.

Il confronto continuerà anche alla chiesa di San Carlo a Modena, dove mercoledì 4 maggio alle 20.45 verrà presentato il libro, con Giorgio Giusti, Vittorio Sgarbi, l’editore Emilio Mazzoli e l’artista Carlo Benvenuto che ha impreziosito le pagine con 16 opere (ispirate al fascino dell’Oronero) realizzate appositamente. Ci immaginiamo un dibattito acceso, caldo, magari non acido. Semmai agrodolce. O meglio balsamico.