Modena, offese razziste su Facebook. In sei a processo

Sono accusati di diffamazione con l’aggravante della discriminazione. Attacchi social diretti a un gruppo di nomadi

Controlli della polizia municipale in un campo nomadi (FotoFiocchi)

Controlli della polizia municipale in un campo nomadi (FotoFiocchi)

Modena, 29 novembre 2019 - In un’epoca nella quale ‘buonisti’, ‘haters’ e ‘leoni da tastiera’ sono termini più che comuni, traslati soprattutto dalla dialettica della politica, nella nostra città prende il via quello che potrebbe essere un vero e proprio processo pilota, utile a ricordare, al di là dell’esito finale, l’esistenza della legge Mancino e del reato di diffamazione, che sì può consumare anche sui social. Ieri mattina il giudice Barbara Malvasi ha rinviato a giudizio, appunto per diffamazione con l’aggravante razziale (etnico per essere più precisi), sei persone residenti nella nostra provincia alle quali vengono attribuite esternazioni discriminatorie ‘postate’ su Facebook a commento di una notizia che riguardava un ‘campo nomadi’ di cittadini d’origine sinti, in via Ponte Ghitto a Paganine. Qualcuno ricorderà, dato che la vicenda giudiziaria già nella sua fase embrionale (marzo scorso) aveva fatto il giro d’Italia, appunto perché peculiare: il caso, risalente al 2013 e riportato online da un quotidiano locale, era relativo ad un campo nomadi sviluppatosi su un terreno acquistato dai diretti interessati (i componenti di una famiglia italiana di origine sinti), ma a destinazione agricola e non abitativa.

Su Facebook, sotto l’articolo giornalistico, diversi utenti avevano detto la loro, o meglio scritto. Tra i commenti, anche chi inneggiava a Hitler o al fuoco. Minimo comun denominatore, il razzismo. Casualità o meno, qualcuno poi una molotov contro quel campo nomadi la lanciò per davvero, senza essere mai identificato.

A sporgere denuncia per diffamazione, nel 2014, era stato uno dei destinatari di queste esternazioni sui social, un 50enne del campo nomadi di via Ponte Ghiotto: «Io sono nato in Italia, ho studiato in questo Paese e ho fatto il militare. Perché tanto odio?», le sue parole. Nell’udienza preliminare che si è svolta in Corso Canalgrande, l’uomo è stato ammesso come parte civile (a rappresentarlo sarà l’avvocato Nicoletta Tietto), dunque prenderà attivamente parte al processo ed eventualmente potrà avanzare una richiesta risarcitoria.

Soprattutto, il 50enne incontrerà gli autori di quei post. Sei rinvii a giudizio, dicevamo. Inizialmente la procura aveva iscritto nel registro degli indagati undici persone, di differenti età ed estrazioni sociali. Fascicolo che è in mano al pubblico ministero Francesca Graziano. Oltre ai sei imputati che finiranno a processo il 20 marzo del prossimo anno, e a quattro archiviazioni già avvenute, va anche registrata la richiesta di messa alla prova avanzata da uno degli indagati. Per lui, in sostanza, il procedimento potrebbe essere sospeso a fronte del fatto che eseguirà dei lavori di pubblica utilità. Anche in questo caso il processo che si aprirà la prossima primavera potrebbe far parlare, perché non si ricordano molti casi precedenti di messa alla prova per un commento su Facebook dal contenuto diffamatorio e a sfondo razziale.

Il fascicolo in questione, approdato ora in tribunale, rientra esattamente in quell’ordine di priorità che l’allora procuratore capo Lucia Musti aveva dato il 30 luglio del 2018, invitando alla massima attenzione della magistratura e delle forze dell’ordine in merito ai reati di stampo razziale. «Registriamo a livello nazionale una impennata di questi reati. Si tratta di reati – le parole di Musti – che vanno dai meno gravi, come le minacce, a quelli ben più gravi, ovvero con spargimento di sangue. Per questo la procura di Modena ha emesso un ordine di servizio rivolto tanto ai magistrati quanto alle forze dell’ordine, dove si chiede di essere solerti e attenti nei confronti della persona offesa. Nel caso di Paganine la persona offesa sembrava particolarmente fragile».

In attesa di vedere come andrà a finire il processo che prenderà il via a marzo, è utile ricordare come nella nostra provincia siano già numerosi i casi giudiziaria legati a parole scritte sui social o sul web. L’ultimo di una lunga serie riguarda un utente sassolese che è stato multato per aver insultato la polizia municipale, sempre via social. Questo in un territorio in cui, paradossalmente, c’è sensibilità al tema: l’Univesità per esempio, ha indetto proprio quest’anno una serie di incontri pensati per studiare il fenomeno dell’odio in rete, che, anche se sul web, odio resta.