Sessant’anni fa il debutto di Pavarotti: "Quella sera vidi sbocciare il suo talento"

L’amico e compagno di coro Bruno Bulgarelli ricorda l’esordio di big Luciano: "Fu eccezionale, ottenne un grande successo"

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di Stefano Marchetti

"Dai, che andiamo a vedere Luciano". Quella sera del 29 aprile 1961, esattamente sessant’anni fa, Bruno Bulgarelli e ‘Poldo’ Roncaglia inforcarono la Vespa, direzione Reggio Emilia. Al teatro Municipale (oggi intitolato a Romolo Valli) andava in scena la "Bohème" di Giacomo Puccini, diretta da Francesco Molinari Pradelli, con la regia di Mafalda Favero, e loro non volevano perderla.

Nel ruolo del protagonista Rodolfo debuttava infatti un giovane tenore di Modena, fresco vincitore del concorso Achille Peri: Luciano Pavarotti, il figlio del fornaio Fernando, una voce squillante e già bellissima. Ebbene, quella sera, davvero, Bruno e Poldo videro nascere una stella: quella "Bohème", per Luciano, fu soltanto l’inizio di un percorso che l’avrebbe portato a diventare il tenore più famoso del mondo, ancora oggi impareggiabile per timbro e lucentezza. "Luciano era un nostro amico, uno di noi. Io poi lo conoscevo da sempre: abitavo di fronte a casa sua, in via Bianchi Ferrari", ricorda Bruno Bulgarelli, oggi 83enne.

Allora Bulgarelli faceva ancora l’imbianchino ma il canto era la sua vita, anzi il suo destino: anche lui infatti era avviato a una carriera sul palco e qualche anno più tardi, nel 1968, avrebbe debuttato al teatro Regio di Parma, accanto a Renata Scotto. È stato alla ribalta fino al 1990: "Le ultime recite le ho tenute proprio al Comunale di Modena, nella ‘Fedora’ con Mirella Freni e Placido Domingo".

Maestro Bulgarelli, come conobbe Luciano Pavarotti?

"Eravamo amici e vicini. E come lui amavo cantare. Ero l’ultimo di dieci figli, e quindi ero andato a lavorare già da ragazzino. Anche mentre stavo sui ponteggi continuavo a cantare, finché un signore mi presentò al maestro Montanari che guidava la corale Gazzotti: feci una specie di provino cantando ‘La donna è mobile’ che avevo imparato ascoltandola alla radio, eseguita da Beniamino Gigli. Però ero troppo giovane, avevo soltanto 15 anni. Mi fecero tornare un paio di anni dopo".

E Luciano?

"Lui aveva tre anni più di me e cantava con suo padre nella corale Rossini. Ma tra noi non eravamo rivali, anzi spesso ci riunivamo. Ci trovammo poi insieme nel coro del teatro Comunale, dove entrai a seguito di un’audizione attorno al 1956: all’inizio, per non rovinarmi la voce, mi facevano cantare fra i bassi".

Pavarotti e Bulgarelli, compagni di coro...

"Già. Quando si chiudeva la stagione del Comunale, con il coro facevamo delle grandi cene da Cantoni o da Fini, e Luciano c’era sempre. Alla fine i vecchi coristi facevano sempre cantare noi giovani: e Fernando Pavarotti diceva ‘Ascoltate, ascoltate mio figlio, sentite che voce’..."

Cosa ricorda della serata del debutto di Luciano?

"Con ‘Poldo’ Roncaglia avevamo acquistato due biglietti di loggione: non avevamo molti soldi... Ma ci godemmo tutta l’opera, meravigliosa, ed eravamo felici per Luciano che ottenne un grande successo. Allora i tenori debuttavano attorno ai trent’anni, Luciano ne aveva 25 ma si capiva che era un talento eccezionale che stava sbocciando. Qualche sera dopo, la stessa opera fu rappresentata anche a Modena e tornammo ad applaudirlo".

La musica poi è diventata anche la sua strada...

"Sì, sono passato dalle impalcature ai palcoscenici – ride –. Quando capii che la musica poteva essere il mio percorso, mi rivolsi allo stesso maestro di Luciano, Arrigo Pola, che mi ha seguito per diverso tempo con la sua perizia ed esperienza. La musica mi ha donato emozioni impareggiabili, è stata ed è una preziosa compagna della mia vita. Però le assi del palcoscenico ‘bruciano’ moltissimo: quando si va in scena, ogni volta è un brivido. E sono tutte emozioni che non si dimenticano".