VALENTINA REGGIANI
Cronaca

Trovato morto in carcere: "Vogliamo sapere perché"

La sorella di Mohamed Doubali, detenuto vittima di un’overdose di farmaci "Stava bene, non aveva motivi per togliersi la vita. Deve emergere la verità".

Mohamed Doubali

Mohamed Doubali

"Vogliamo conoscere la verità sulla causa della morte perché mio fratello non voleva morire. É entrato in carcere sulle proprie gambe e ne é uscito morto. Noi siamo sprofondati nel baratro". Sono queste le dichiarazioni intrise di lacrime di Halima Doubali, sorella di Mohamed residente a Cesena. Parliamo del 27enne trovato cadavere in cella lo scorso tre febbraio, pare a seguito di una assunzione smodata di farmaci. Per la sua morte la procura ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio colposo, che vede l’iscrizione di tre sanitari del penitenziario, tra cui uno psicologo. A quanto pare, infatti, il ragazzo – detenuto per reati quali lesioni e rapina – aveva manifestato problemi psichiatrici ed era in cura. Lunedì’ scorso è stato conferito incarico ai periti per l’esame autoptico in contraddittorio e sono stati nominati anche i periti di parte. L’iscrizione dei medici rappresenta ovviamente un atto dovuto volto a stabilire se siano ravvisabili responsabilità per la morte del giovane e se possa anche configurarsi una mancata vigilanza. "Io e mia sorella siamo qui in Italia da 18 anni – continua Halima. Siamo cittadine italiane. Nostro fratello era arrivato in Italia quattro anni fa e purtroppo si era lasciato trascinare da brutte compagnie. Io e mia sorella siamo andate a trovarlo in carcere a Modena il primo di dicembre e stava bene – rimarca la giovane – e non abbiamo mai sospettato che potesse togliersi la vita. Nostra madre lo aveva sentito al telefono pochi giorni prima della morte e ci aveva detto di averlo sentito bene. Una volta fuori dal carcere, infatti, Mohamed avrebbe voluto raggiungere la mamma in Marocco per poi ricominciare una nuova vita. Era un ragazzo dolce e buono. Solo dopo la sua morte abbiamo scoperto dai giornali che soffrisse di disturbi psichiatrici e che prendesse farmaci per questo motivo. Noi familiari siamo caduti nel dolore più profondo, insopportabile e chiediamo solo che sia fatta luce sulla sua more".

Ad intervenire è anche Tea Federico, legale della famiglia: "Esprimo piena fiducia nell’operato della Procura della Repubblica di Modena che ha tempestivamente avviato le indagini, seppur come atto dovuto, su questa vicenda che ha colpito un giovane di soli 27 anni. Confidiamo che le indagini faranno piena luce su eventuali criticità nell’assistenza sanitaria fornita al giovane Mohamed – rimarca il legale. La ricerca della verità rappresenta non solo un diritto della famiglia, ma un interesse dell’intera collettività, considerando che la tutela della vita nelle strutture penitenziarie é un indicatore fondamentale della civiltà giuridica di un paese. Non si può morire di carcere".

Valentina Reggiani