Tuffo negli anni ’60 con il musical che parla di pace

Oggi sul palco del Comunale il celebre show che debuttò a Broadway oltre mezzo secolo fa

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di Stefano Marchetti

Nel mondo, e anche alle porte dell’Europa, soffiano venti gelidi di guerra, e in queste settimane da molte finestre sono tornate a sventolare le bandiere multicolori della pace.

Ed è come una bandiera musicale quella che il teatro Comunale Pavarotti - Freni ha deciso di portare sul suo palcoscenico, ospitando (per un fuori programma d’eccezione) il celeberrimo "Hair", il musical rock di James Rado e Gerome Ragni con le musiche di Galt McDermot, che fin dal suo debutto a Broadway (ormai più di cinquant’anni fa) è considerato emblema della cultura pacifista.

Oggi alle 17 lo vedremo nella versione prodotta da Mts Entertainment in collaborazione con la Compagnia dell’Alba, con regia, scene e costumi firmati da Simone Nardini, e musica dal vivo. Un cast di 18 performer dà nuova vita alla Tribe, la tribù di giovani hippie che da New York canta l’alba dell’era dell’Acquario, una nuova età di armonia, di speranza e di amore.

"Hair" nacque nel 1967 negli Stati Uniti feriti per la guerra del Vietnam ma "oggi come allora esistono ancora tanti Vietnam, e tanti giovani con la voglia di liberarsi dalla schiavitù commerciale della società", sottolinea Nardini.

"Hair" è il racconto di un gruppo di giovani che si riuniscono a Central Park, cuore verde della Grande Mela, nella speranza che gli uomini sappiano ritrovare il senso della bellezza e della pace che hanno smarrito.

Figli dei fiori disinibiti, liberi, gioiosi, accompagnano la loro protesta contro le sofferenze della guerra al grido di sesso, droga e rock’n’roll, proclamando la rivoluzione sessuale, il rifiuto delle armi, la liceità delle droghe. Ma un giorno a Claude arriva la cartolina di leva: dovrà arruolarsi o rigettare gli obblighi militari e rimanere nella Tribe?

Fin dal suo debutto, "Hair" riscosse enorme successo, pur rappresentando uno scossone nei confronti del perbenismo e dei tradizionalismi: brani come "Aquarius" o "Let the sunshine in" sono ormai dei classici.

Sono trascorsi più di cinquant’anni, la società, i costumi, i modi di vivere sono cambiati, qualche barriera è stata abbattuta, alcuni tabù non sono più tali.

E tuttavia il messaggio di fondo di "Hair", il desiderio (forse ancora utopico) di una fraternità universale resta inalterato. Ancor più in questi giorni di tensione, tutti vorremmo che il sole splendesse su questa nostra Terra inquieta.