Modena, uccise la moglie e bruciò il cadavere: la pena sale a trent’anni

Niente attenuanti: rimodulata la sentenza contro Khalil Laamane che nel febbraio 2019 ammazzò l’ex convivente a coltellate

Il luogo dove venne trovato il povero corpo

Il luogo dove venne trovato il povero corpo

Nessuna attenuante per il brutale omicidio: Khalil Laamane, 51 anni, è stato condannato, partendo dall’ergastolo, a trent’anni di carcere visto lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. E’ quanto stabilito ieri dal giudice nei confronti dell’uomo accusato di aver ammazzato a coltellate a febbraio 2’19 la moglie Ghizlan El Hadraoui, per poi cercare di distruggere il cadavere, appiccando il fuoco all’auto dove aveva adiagiato la salma. Infatti la prima sezione della Cassazione aveva annullato la sentenza – solo per quanto riguarda le attenuanti generiche - con la quale l’uomo era stato condannato a 22 anni in abbreviato. All’epoca, infatti, un altro giudice aveva concesso all’imputato le attenuanti ritenendole equivalenti alle aggravanti, ovvero la premeditazione e il delitto ai danni del coniuge. ‘Discriminanti’ concesse a fronte del fatto che – affermava nelle motivazioni - l’imputato aveva ammesso immediatamente di essere colpevole del terribile delitto, manifestando la volontà di risarcire i figli. Inoltre, secondo il giudice, Khalil ‘meritava’ le attenuanti essendo incensurato e avendo mantenuto per anni la famiglia e il fratello, mostrando di relazionarsi alle altre donne con rispetto. "Aveva deciso di uccidere in ragione di condizioni psicologiche alterate in quanto esasperato dal conflitto coniugale", così aveva motivato il giudice. Il procuratore della repubblica, nella persona del pm Guerzoni aveva presentato ricorso in Cassazione per vizi della motivazione in punto di riconoscimento delle attenuanti generiche, parlando di contradditorietà ed illogicità della motivazione. Secondo il procuratore Khalil Laamane aveva anzi agito con "una straordinaria capacità a delinquere". Aveva ammesso il fatto? "Solo davanti ad elementi inconfutabili. Quando non era sottoposto ad indagini, anzi, aveva negato di essere l’assassino cercando di fornire un alibi. Nessun segno di pentimento". Il risarcimento ai figli? "I conti di Laamane – spiegava nell’impugnazione ancora il procuratore – erano stati svuotati dai fratelli". Nel ricorso infine si sottolineava l’odio dell’imputato verso le donne e la moglie prima, durante e dopo l’omicidio. La suprema Corte gli aveva dato ragione ritenendo il ricorso fondato per svariati motivi. Tra questi i diversi comportamenti di ingiustificata gelosia, con violenza e minaccia da parte dell’uomo, spesso ubriaco. Nonostante non convivessero più; Ghizlam era continuamente sottoposta a persecuzione e minacce da parte del marito tanto da sporgere denuncia nei suoi confronti un mese prima di essere uccisa e proprio il figlio della donna, una volta appreso della morte della madre aveva indicato nel padre l’assassino.

I giudici di Cassazione avevano quindi annullato la sentenza relativamente alla concessione delle attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio. Ieri il giudice ha condannato l’uomo a trent’anni. Era il sei febbraio di due anni fa quando, come ricostruito dalla Mobile Khalil Laamane ammazzò la moglie sotto casa a coltellate, in auto, e successivamente bruciò il suo corpo in via Cavazza dove lo trovò poco dopo un carabiniere di passaggio in zona. Secondo l’avvocato Valeria de Biase, che difende i due figli della vittima: "Non si può parlare di riparazione di una vicenda così triste e delicata. Non si ripara con niente il danno arrecato a questi ragazzi ma, ad avviso della parte civile da me rappresentata, la condanna è la più rispondente alla gravità dei fatti e alle risultanze del processo".