Una folla gioiosa ha invaso la Cattedrale "Non si può vivere in una campana di vetro"

Il vescovo Castellucci durante la solenne celebrazione: "La pandemia ha dimostrato come ciascuno di noi sia un intreccio di relazioni"

Una folla gioiosa ha invaso la Cattedrale  "Non si può vivere in una campana di vetro"

Una folla gioiosa ha invaso la Cattedrale "Non si può vivere in una campana di vetro"

di Stefano Marchetti

"Tutti si sentano benvenuti in questa casa che non è solo del grande Geminiano, ma di tutti i modenesi", ha esordito l’arcivescovo Erio Castellucci, introducendo l’altisonante Messa Pontificale per la festa del Patrono. Ed è stato proprio così: dopo tre anni di restrizioni, distanziamenti e mascherine, finalmente ieri mattina abbiamo rivisto in Duomo la folla gioiosa delle occasioni più care. San Geminiano è senza dubbio una giornata solenne e popolare insieme, e il ‘santo assembramento’ della Cattedrale lo ha dimostrato ancora una volta. Davvero – come ha rimarcato don Erio – la festa ha potuto "finalmente esprimersi in tutta la sua bellezza". Le mille candele accese davanti alla statua del Santo così come la lunghissima fila per rendere omaggio alla sua tomba nella cripta ci hanno donato un colpo d’occhio quasi commovente.

Abbiamo rivisto i Carabinieri in alta uniforme, le autorità civili e militari schierate nelle prime file, il sindaco Muzzarelli con i colleghi di Pontremoli e San Gimignano, il prefetto Alessandra Camporota, il neopresidente della Provincia Fabio Braglia e i consiglieri comunali. E sull’altare diverse decine di sacerdoti e quattro vescovi: insieme a don Erio (affiancato dal vicario generale don Giuliano Gazzetti e da don Luigi Biagini, impeccabile cerimoniere), i monsignori Giacomo Morandi, vescovo di Reggio, Giuseppe Verucchi, emerito di Ravenna, e Lino Pizzi, emerito di Forlì. La benedizione con la reliquia del braccio poi i riti antichissimi, sottolineati quest’anno dai canti eseguiti dai Madrigalisti Estensi.

Ogni anno, San Geminiano riesce a ‘connettere’ la dimensione religiosa e quella civile, anzi civica. E proprio ‘connessione’ è stata la parola chiave dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo. "Tutto è connesso", ha ricordato don Erio, e "nessuno può vivere dentro una campana di vetro": la pandemia ci ha dimostrato come ciascuno di noi sia "come un intreccio di fili, di relazioni". Materia, intelletto, spirito: tutto è connesso. Eppure le crisi che stiamo attraversando, da quella migratoria a quella ambientale, "e le decine di guerre in corso, tra le quali l’ultima, sciagurata, dovuta all’invasione dell’Ucraina continuano a sconnettere gli esseri umani", ha aggiunto monsignor Castellucci. Don Erio ha rimarcato che Gesù sapeva "connettere ciascuno e tutti", mentre invece, nel corso della storia, spesso i sistemi sociali e politici hanno ondeggiato fra "un’ideologia che fa perno sul singolo, a scapito del bene comune, l’individualismo" e "un’ideologia che fa leva sul tutto a scapito del singolo, il collettivismo". L’individualismo porta alla legge della giungla mentre il collettivismo porta "alla legge dello zoo", spegnendo l’iniziativa personale.

Connettere tutti, impegnarsi contro le ingiustizie e il male, costruire legami fraterni e di pace è quanto viene richiesto non soltanto ai vescovi o agli uomini di Chiesa, ma "a tutti coloro che rivestono compiti di responsabilità nella città", e hanno "il mandato di esercitare l’autorità pastorale nelle istituzioni", ha proseguito don Erio. "Spesso chi guida le comunità deve far fronte a tendenze individualiste che guardano solo al perimetro dei propri piedi, dimenticando il bene comune – ha detto nel passaggio più ‘forte’ dell’omelia –, e talvolta queste tendenze, pur esprimendo esigenze autentiche, sono incapaci di pensarci ‘connesse’ agli altri e rivendicano la loro parziale verità, facendo circolare opinioni tendenziose". Don Erio ha dedicato quindi il suo pensiero finale alle tante persone che ogni giorno "si impegnano e si spendono per costruire una convivenza più bella e più giusta, nella società e nella Chiesa": sono loro gli operatori di pace. "Fanno meno rumore di chi vuole ‘sconnettere’ – ha concluso l’arcivescovo – ma lavorano in profondità".