Vendevano droga per il clan: in manette i pusher dei casalesi

Si tratta di due trentenni domiciliati in città e a Carpi Sono ritenuti affiliati al sodalizio mafioso

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Rispondevano direttamente a lui, al figlio del boss per gestire il traffico di droga ma, una volta ‘sistemati’ gli affari, sono emigrati nella nostra provincia che negli anni, di affiliati al clan dei casalesi ne ha ospitati parecchi.

Nella maxi operazione scattata ieri all’alba nel Casertano e che ha portato a 17 arresti sono stati sottoposti a misura cautelare anche due giovani membri del clan domiciliati a Carpi e in città. Si tratta rispettivamente di Adolfo Abatiello, 32 anni e di Silvio Petrillo, 30enne, ritenuti a tutti gli effetti affiliati al clan. L’indagine, coordinata dalla Dda di Napoli ha infatti permesso di smantellare un’organizzazione dedita allo spaccio con il marchio del clan e guidata dal 31enne Francesco Caterino, figlio del boss Giuseppe, della famiglia Schiavone. Giuseppe Caterino, noto come Peppinotto, nella nostra provincia per molto tempo ha gestito non solo lo spaccio ma anche tutti i proventi illeciti derivanti dal gioco d’azzardo. Peppinotto era molto vicino a sua volta infatti al capoclan Francesco Schiavone, noto come Sandokan e tra i primi esponenti della cosca ad investire i guadagni illeciti a Modena. Francesco Caterino da tempo aveva creato un gruppo di narcotrafficanti che acquistavano droga, cocaina, hashish e marjiuana a Napoli tramite una fitta rete di pusher. Tra i galoppini, anche Abatiello e Petrillo, ora ai domiciliari. Abatiello, secondo gli inquirenti, si occupava di individuare le aree di spaccio e di tenere i rapporti coi ‘gestori’ delle stesse prendendo accordi relativi al prezzo e alla quantità della sostanza mentre Petrillo, insieme al fratello, di piazzare cocaina. Le indagini riguardano il periodo compreso tra il 2015 e il 2017 per fatti accaduti nel Casertano: l’accusa è quella di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Affari volti, appunto, ad agevolare il clan avvalendosi della forza dell’intimidazione derivante dall’appartenenza al sodalizio camorristico. Nel 2010 alcuni collaboratori di giustizia resero dichiarazioni proprio su Francesco Caterino confermando la ‘fiorente’ attività di spaccio da lui gestita. "Stavamo in cella insieme – dichiarò a tal proposito un pentito – e Francesco attribuiva il suo arresto al genero di Raffaele Diana. Lui dichiarava poi che a Modena il suo gruppo o meglio il gruppo del padre Giuseppe imponeva affidamento di lavori ad imprenditori amici e questi, come segno di riconoscenza, gli versavano parte dei proventi. Caterino – continua il pentito – mi riferiva poi come a Modena e Carpi avesse aperto due sale per gioco d’azzardo… Era solito assumere droga – confidò – che acquistava da un altro soggetto che era solito trasportare ingenti quantitativi di cocaina nella zona di Modena. E ancora: mi confidò che aveva avuto modo di incontrare, proprio a Modena, Michele Zagaria".

Valentina Reggiani