"Viviamo in società ’fratturate’ C’è un grande bisogno di giustizia"

Domani inizia la kermesse. Il direttore Francesconi: "Dai diritti civili alla povertà: un tema che riguarda tutti"

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di Stefano

Marchetti

È tempo di tornare in piazza. Tutti insieme. "Finalmente", esclama Daniele Francesconi, direttore del FestivalFilosofia. "Ripartiamo in piena capienza, con libertà di movimento e senza necessità di prenotazione – aggiunge –. Negli ultimi due anni, pur con tutte le precauzioni e limitazioni, abbiamo voluto continuare a mostrare che si poteva fare cultura dal vivo e in sicurezza. Ma un festival culturale come il nostro è un’occasione di socialità, si fonda sulla vicinanza fra le persone e su un assembramento positivo, oltre che sulla libertà di spostarsi da un luogo all’altro. Tutto quello che nelle ultime due edizioni non si è potuto fare, e che ora ritroviamo con gioia".

Giustizia è parola impegnativa. Perché l’avete scelta?

"Perché nella discussione filosofica internazionale le teorie della giustizia sono state molto presenti negli ultimi vent’anni e hanno subito importanti trasformazioni. Pensiamo per esempio alla nuova attenzione sul tema dei diritti umani o sulla dimensione globale della lotta alla povertà".

Un tema molto contemporaneo, quindi...

"E divenuto ancor più di attualità nell’ultimo anno. Quando lo scorso settembre abbiamo scelto questa parola, non avremmo immaginato tutto quello che è accaduto poi: anche per effetto della guerra, le disuguaglianze si sono acuite, così come le questioni di distribuzione delle risorse, con tutti i costi socioeconomici collegati. Ancora una volta, la realtà ci ha superato in corsa".

La crisi ‘mette alla prova’ la giustizia?

"Già, e quando parliamo di disuguaglianze non intendiamo soltanto le questioni relative alla povertà che pure sono fondamentali. Nel tema della disuguaglianza entrano in gioco anche altri fattori: l’identità, l’accesso alle informazioni, i diritti civili. Moltissime disuguaglianze sono dovute anche alla disparità di accesso".

Ma esiste realmente una giustizia? O è soltanto una convenzione?

"Pensi all’immagine ufficiale che abbiamo scelto per il festival. La giustizia, con la bilancia in una mano e la spada nell’altro, è una silhouette, uno spazio bianco, a significare che la giustizia non si è mai realizzata pienamente: per certi versi è un’assenza, un’aspirazione, qualcosa che va reclamato e un contorno che va riempito. Anche se non è sempre una convenzione..."

In che senso?

"Su alcuni temi (per esempio, i diritti umani) la giustizia non può essere solo una convenzione, perché è dovuta a tutte le specie. Per altri versi, la giustizia è in effetti un sistema di convenzioni, di regole e di leggi che non sempre trovano applicazione, evidenziando una scarto tra l’aspirazione alla giustizia e la sua effettiva realizzazione. Nel nostro programma dedicheremo spazio anche alle passioni legate alla giustizia".

Ovvero?

"Ci si può mobilitare per la giustizia in diversi modi. Con l’indignazione, la rabbia e il risentimento nei confronti delle iniquità e delle disuguaglianze, ma anche con l’empatia verso il prossimo, la solidarietà, la cura, la carità e la compassione verso chi soffre ingiustizie".

C’è una parola che lei abbinerebbe a giustizia?

"Sì, è ‘riparazione’ che tornerà più volte al festival e non soltanto per parlare di giustizia riparativa. In questo periodo storico viviamo in società profondamente fratturate e polarizzate: la necessità di ricucire dei legami è fondamentale. E la più grande ferita è davanti agli occhi di tutti: è la guerra. Vivere una guerra così da vicino ci ha dimostrato che la violenza non è immateriale, digitale, ma è reale, sanguinaria".

Anche quest’anno arriveranno nuovi ospiti al festival. Le lezioni da non perdere?

"Mi sento di consigliare quella del filosofo tedesco Jörg Tremmel (sabato pomeriggio in piazza Grande, ndr) che parlerà di ‘Un contratto fra le generazioni’: in sostanza egli afferma che le generazioni future devono poter essere libere di rivedere i principi costituzionali, per esempio per salvaguardare il pianeta. Il costituzionalismo è nato per salvarsi dalle tirannie, ma oggi dobbiamo salvarci dalla tirannia del presente e dall’idea che chi scrive le regole le pensi come immutabili. In chiave riparativa, altre lezioni molto interessanti saranno quelle di Lea Ypi e quella di Anne Lafont: in entrambe, pur per vie diverse, si affronterà il rapporto col passato, in una visione di futuro".

Allora, è giusto venire al festival?

"Quest’anno più che mai".