Tetra Pak, l'orario di lavoro è libero

Niente orologi in azienda, Cazzarolli: "Bisogna andare oltre il controllo che viene dalla timbratura del cartellino e concentrarci di più sui risultati" SCHEDA Ecco come funziona

Tetra Pak vanta un’organizzazione lavorativa tipica nordeuropea, sopra l’ingegnere Cazzarolli

Tetra Pak vanta un’organizzazione lavorativa tipica nordeuropea, sopra l’ingegnere Cazzarolli

Modena, 7 dicembre 2015 - Non solo brick di latte e lattine, la filosofia di Tetra Pak è la risposta migliore al recente dibattito esploso sulle affermazioni del ministro Giuliano Poletti, secondo cui è arrivata l’ora di rottamare l’orario di lavoro. Come mai Tetra Pak? La multinazionale svedese con cuore pulsante nel territorio modenese da anni applica una sorta di regime improntato all’auto-gestione (SCHEDA), a patto che questo lasci intatti obiettivi e progetti in essere.

Insomma, a trionfare è il welfare tipico nordeuropeo e l’organizzazione in Tetra Pak sembra lontana anni luce dai meccanismi spesso obsoleti che sono ancora le linee guida del nostrto sistema industriale italiano.

Basta citare alcuni punti cardine: niente cartellino, pranzo in orari flessibili, grandi open space in vetro e poi biblioteca interna, palestra gratuita per i dipendenti, asilo aziendale e nuove assunzioni ogni anno. A raccontarci i concetti culturali su cui si basa l’azienda è l’ingegnere Gianmaurizio Cazzarolli, Hr Director e Site Manager.

Da dove nasce questa vostra innovazione organizzativa?

"Il concetto delle ‘persone prima di tutto’ lo abbiamo sposato ormai da parecchi anni, da quando abbiamo deciso di inserire l’orario flessibile e togliere tutti gli orologi all’interno dell’azienda. In Tetra Pak si può entrare tra le 7.30 e le 9 del mattino in base alle proprie esigenze ed è previsto che in determinate situazioni i dipendenti possano lavorare anche da casa. Ovvio che la scelta deve essere commisurata al tipo di mansione e alle necessità individuali".

Un esempio concreto?

"Me ne vengono in mente un paio, che fanno intendere come sia il singolo a valutare situazione per situazione la chance della flessibilità oraria. Il primo riguarda le conference call o le presentazioni dei progetti: se una mattina ho una riunione da remoto o devo concludere un report posso farlo e tranquillamente da casa. Altro esempio quello degli ingegneri che gestiscono i macchinari in azienda: è chiaro che in questo caso lavorare dalla propria abitazione è impossibile, ma posso accordarmi coi colleghi per entrare a orari diversi".

Quale valore aggiunto dà questo tipo di politica interna?

"Il concetto guida è quello della fiducia nelle persone, dando la possibilità di conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Sarà la qualità del risultato ottenuto a dimostrare la capacità di fare le scelte giuste. Determinanti, in questo senso, sono la presenza di strutture quali la palestra e l’asilo aziendale, che permettono di armonizzare le esigenze private".

C’è un monitoraggio della flessibilità?

"Ogni dipendente a fine mese autocertifica le ore, specificando quanto ha lavorato in sede e quanto, eventualmente, da casa. In questo modo i dipendenti sentono la fiducia dell’azienda e di conseguenza crescono motivazione e risultati".

E’ d’accordo con le parole del ministro Poletti?

"Condivido il suo pensiero, anche se il discorso va considerato più ampiamente. Penso che le persone possano essere ancora pagate per le ore che lavorano, ma va superato il modo in cui misuro quelle ore. Il concetto che uno produce solo quando è seduto alla scrivania è un limite: se io mi alzo e guardo per mezz’ora le mail dell’ufficio da casa, va riconosciuto che in quel lasso di tempo ho già iniziato il mio impegno per l’azienda. Bisogna andare oltre il controllo che viene dalla timbratura del cartellino e concentrarci di più sui risultati".