Pavarotti, intervista alla prima moglie Adua. "Il mio Luciano non era solo pop"

Adua, la prima moglie: "Negli ultimi anni aveva nostalgia del passato"

Adua con Luciano Pavarotti: la coppia si separò a metà degli anni ’90

Adua con Luciano Pavarotti: la coppia si separò a metà degli anni ’90

Modena, 10 ottobre 2017 - Luciano Pavarotti aveva debuttato soltanto da pochi mesi, quando il 30 settembre 1961 disse “sì” ad Adua Veroni. Si erano fidanzati otto anni prima, nella loro Modena, e da lì cominciò la straordinaria carriera che avrebbe portato il tenore nei teatri più splendenti. Adua era sempre con lui: sembravano una coppia inseparabile e insuperabile.

Poi, a metà degli anni ’90, il nuovo amore fra Luciano e Nicoletta, il distacco, il divorzio. Da allora Adua ha adottato una linea di riserbo e di discrezione che ha mantenuto anche quando Luciano è venuto a mancare nel 2007.

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Ma più di quarant’anni insieme non si possono cancellare. Il 12 ottobre sarebbe stato l’82° compleanno del tenorissimo, e Adua Veroni ha accettato dunque di ripercorrere con noi la sua vita con Luciano.

Qual è il suo primo ricordo di Luciano?

«Frequentavamo la stessa scuola a Modena, ma il primo incontro “ravvicinato” fu in occasione di una festa da un compagno di classe, suo vicino di casa. Mi colpirono il suo aspetto che trovai molto attraente e la sua gentilezza di modi».

Furono difficili gli esordi di Luciano nella lirica?

«Ci fu qualche incertezza all’inizio quando, ancora studente di canto, in un concerto a Ferrara l’esito fu quasi disastroso. Luciano si demoralizzò, voleva lasciare. In realtà scoprimmo che la débâcle era stata causata da un polipo alle corde vocali che venne asportato. Per fortuna la voce tornò come prima e così riprese con l’entusiasmo di sempre. Luciano poi costruì la carriera gradino per gradino, con tanto studio e attenzione alle scelte».

Qual era il suo tratto caratteristico?

«Il timbro di voce di “argento puro”, la dizione perfetta, l’intonazione e l’espressività trascinante. Queste qualità, amplificate da un carattere gioviale, hanno contribuito a creare quella “magia” che lo ha unito e lo unirà per sempre al suo pubblico. Rodolfo in “Bohème”, e Riccardo - Gustavo nel “Ballo in Maschera” erano i ruoli perfetti per lui».

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Nel mondo artistico, c’era solidarietà e amicizia fra colleghi?

«Sì. Al di là dei maestri bravissimi come Leone Magiera, con i quali ha lavorato tutta la vita, fondamentale è stato l’incontro con la grande Joan Sutherland. Sotto la sua guida e col suo esempio, Luciano è diventato padrone del sostegno della voce e della respirazione».

Le serate memorabili?

«Fu indimenticabile una “Bohème” a Monaco di Baviera nel 1978 con Mirella Freni e sotto la direzione di Carlos Kleiber: sembrava che i lampadari del teatro crollassero. O la “Fille du Regiment” del 1972, bellissima produzione del Metropolitan con Joan Sutherland, che consacrò la carriera di Luciano negli Stati Uniti».

Cosa ha amato maggiormente di Luciano?

«La sua disponibilità assoluta verso il prossimo. Se poi si trattava di salute si prodigava, non solo per i propri cari o gli amici, ma per chiunque avesse di fronte».

E cosa le manca di lui?

«Abbiamo trascorso momenti molto felici e il risultato sono state le nostre tre meravigliose figlie: abbiamo condiviso sofferenze e lottato per costruire una vita insieme. Questo non può essere dimenticato. Poi la vita ha preso una piega diversa e il rammarico è non aver più avuto modo di dialogare, una volta superati i momenti molto difficili e dolorosi della separazione, per poter dire cose che allora, mancando la giusta serenità, non furono dette».

Anche dopo la separazione, avete continuato a sentirvi?

«Sì, negli ultimi anni ci furono incontri: credo che Luciano provasse una grande nostalgia del passato. Poi il sopraggiungere della malattia. L’ultima volta lo vidi in ospedale e fu una gran pena. Penso che avesse ancora tante cose da dire e da fare».

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Oggi c’è chi ricorda il Maestro più per i duetti pop. Cosa ne pensa?

«Luciano ha sempre detto, e io sono assolutamente d’accordo, che voleva essere ricordato come cantante d’opera. Se i duetti pop sono serviti per ricordare il suo nome ai giovani può andare bene, a patto che questo non stravolga la sua vera natura e ciò per cui ha speso tutta la sua vita: il mondo del teatro e la lirica. Sicuramente la sua figura va collocata e ricordata in costume di scena su un palcoscenico».