«Così ho conquistato l’America»

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LA SUA VITA è tornata ad essere quella di sempre. La sveglia all’alba per non perdere la sana abitudine di allenarsi con la sua Specialized. Poi lo studio di avvocato, il lavoro, la famiglia e gli amici. E quella passione per il ciclismo estremo che l’ha portato a compiere una delle imprese sportive più significative degli ultimi tempi: un ‘coast to coast’ degli Stati Uniti in completa autonomia, senza assistenza. Fa solo impressione pensare a 6.738 km percorsi solo a pedalare. Se poi aggiungiamo il fattore agonostico e il sesto posto assoluto nella classifica finale di una gara così massacrante, si riesce ad avere una vaga idea dello spessore di questa impresa.

Paolo Botti, avvocato 50enne modenese, un papà, Enzo, che per 25 è stato presidente del Coni di Modena, si gode ancora in questi giorni il gusto di aver coronato un sogno.

«Quando sono arrivato a Yorktown dopo 20 giorni e 13 ore ho provato una delle più belle soddisfazioni della mia vita. E’ da un anno che pensavo alla Trans American Bike Race e ciò mi è costato parecchi sacrifici».

E pensare che a gennaio era nel letto di un ospedale con il femore rotto.

«Una banale caduta. Quando sono arrivati a soccorrermi parlai chiaramente ai medici; io a giugno devo andare in America. E qui devo ringraziare chi mi ha assistito, Andrea Sola e la palestra Athena. Sono stati fantastici».

Diamo alcuni numeri. Quanti chilometri percorreva ogni giorno?

«La media ha un numero curioso: 333. L’ idea era quella di viaggiare tra i 300 e i 350 chilometri. Ma il vero problema era che ogni sera andavo a riposarmi pensando che il giorno avrei dovuto fare altrettanto»

Ore dormite durante la notte?

«Dalle tre alle quattro. Dipendeva anche dal momento in cui riuscivo a raggiungere l’albergo che decidevo ogni giorno. Come quella volta che ho trovato un hotel alle due di notte con la bici tutta ghiacciata».

Dislivelli affrontati e meteo

«In totale 55 mila metri. Meteo di ogni tipo: dalla neve al caldo più torrido, dai meno 9 ai 40 gradi».

Gli amici la definiscono un extra terrestre. Lei ha ‘divorato’in quasi 21 giorni ciò che percorre ogni anno un amatore medio. Due volte il Giro d’Italia dei professionisti

«Il fatto che cerchi di rendere pubblico ciò che faccio e anche per dimostrare che si possono affrontare le difficoltà a testa a alta. Tutti lo possono fare».

Ma non 6.738 chilometri in bici in meno di 21 giorni ad una media tra i 22 e i 25 kmh

«Allenamento, determinazione e sacrificio. Non ci sono segreti».

Momenti difficile ne avrà avuti?

«Dal punto di vista tecnico mai un problema. Ho solo cambiato il copertone della ruota posteriore perché dopo 5 mila chilometri era inutilizzabile»

Tutto qua?

«Fisicamente sono stato sempre bene, tranne qualche logico problemino alla parte appoggiata sul sellino….Alla fine è stata molto dura, soprattutto gli ultimi 30 chilometri. Il percorso conclusivo prevedeva una salita di 100 chilometri, di cui gli ultimi dieci con un dislivello del dieci per cento. Ho pedalato nell’ultima tappa per 40 ore di fila per un totale di 600 km».

Pazzesco. Il ciclismo spesso è scivolato nella trappola del doping. Tutto regolare alla Trans American Bike Race?

«Parlo per me. Qui non si vince denaro, nemmeno una coppa. L’iscrizione costa 250 dollari. Unico trofeo, un cappellino da ciclista. Queste cose le fai per te stesso con un solo obiettivo da raggiungere.

Quando non ci sono interessi economici non ha senso barare. E non ha senso doparsi in generale. Se non ce la fai ti ritiri, altrimenti tieni duro come ho fatto io»

C’era anche il rischio che qualcuno potessero salire su un treno….

«Il controllo con il gps registrava anche le medie dei concorrenti. E se ad un certo punto uno fosse andato al doppio della velocità sarebbe stato scoperto»

Ha mai rischiato di essere rincorso da un cane?

«Era successo in Romania. Ho visto dei pitbull legati però. Nel caso avevo in dotazione una bomboletta al peperoncino. Ho incontrato anche un orso ma fortunatamente era lontano dalla strada»

Lei come si alimentava?

«Con quello che trovavo, in modo da immagazzinare delle 4 alle 5 mile calorie al giorno».

Aveva contatti con l’Italia?

«Certamente. Le tecnologie ti permettono di essere sempre in contatto con il mondo. Avevo una chat con alcuni amici, sono stati eccezionale, un supporto fondamentale. Tra questi Matteo Panini, detto Magellano, che ogni giorno mi illustrava il percorso che avrei dovuto affrontare, suggerendomi anche dovepoter mangiare. Devo ringraziare anche Ivan Andreoli uno dei miei sponsor insieme al Centro Revisioni Auto».

Avvertirà un po’ di vuoto dopo un’impresa del genere. Quale sarà la prossima sfida?

«Ad agosto prenderò parte alla Parigi-Brest-Parigi di 1250 km che dovrei fare in 65 ore, quattro giorni circa. Poi vedrò per il prossimo anno. C’e una gara in Giappone….»