De Zerbi, pressioni dei clan al Foggia. "Mai accettato imposizioni"

Il tecnico del Sassuolo contesta gli inquirenti: sostengono che lui, ai tempi rossoneri, abbia subito l'imposizione di due giocatori dalla mafia e non abbia denunciato

Roberto De Zerbi

Roberto De Zerbi

Modena, 1 dicembre 2018 - Dopo il processo concluso in nulla, di questa estate, altre vicende foggiane ‘tirano per la giacchetta’ Roberto De Zerbi. Gli ex dirigenti rossoneri, il ds Giuseppe di Bari e il tecnico Roberto de Zerbi "lungi da denunciare, come dovrebbe fare ogni vittima di estorsione, hanno preferito in maniera pavida accettare supinamente le richieste formulate, abiurando anche a quei valori di lealtà e correttezza sportiva che dovrebbe ispirare la loro condotta".

Lo dicono gli inquirenti baresi a margine dell’inchiesta sulla mafia foggiana: i clan avrebbero imposto al Foggia l’ingaggio di due giocatori, tra cui il figlio di un boss, "non dotati – scrive la Dda - di qualità sportive significative". La circostanza è parte del provvedimento del gip di Bari che ha portato all’arresto per mafia di 30 affiliati alla Società foggiana, e stigmatizza l’ingaggio dei due: si tratta di Antonio Bruno, figlio del defunto boss Rodolfo, e Luca Pompilio: il primo giocò una gara, il secondo andò in prestito al Melfi. A guardare i numeri, l’idea è che il Deze abbia avuto poco a che fare con entrambi.

"Contesto fermamente le sommarie valutazioni, riguardanti la mia persona e la mia professionalità - è quanto replica De Zerbi, attraverso una nota diramata dal suo legale Eduardo Chiacchio -, riportate da organi di Stampa, in merito alle indagini della Dda che hanno determinato gli odierni provvedimenti del Gip di Bari, coinvolgendo anche il Foggia Calcio per il tesseramento di due calciatori. Devo precisare che uno dei due non é stato mai da me allenato, mentre l'altro fu aggregato congiuntamente ad altri ragazzi della squadra Juniores nelle ultime gare del campionato. Nella stagione successiva non fu da me ritenuto idoneo per la prima squadra".

"Devo anche ribadire nella mia carriera, non ho mai accettato imposizioni da nessuno - ha proseguito l'attuale tecnico del Sassuolo -, neppure dai massimi dirigenti delle società in cui ho militato. Specificatamente a Foggia tutti sapevano che non ero influenzabile o tanto meno ricattabile. Mi sono limitato a fare l'allenatore e non avevo poteri su calciatori che la società voleva tesserare per poi mandarli in prestito in altre squadre. Io tengo molto al cognome che porto, per rispetto alla mia famiglia e alla società per cui lavoro. Già una volta mi hanno messo in mezzo e ne sono uscito pulito senza se e senza ma, e senza patteggiare, prima con una squalifica di tre mesi e poi con un proscioglimento totale. Anche questa volta ho la coscienza pulita, ma avere la coscienza pulita non mi basta, e non mi piace finire in un tritacarne del genere».