Eterno Magnanelli: "Il Sassuolo nel cuore"

Diciassette anni dopo il suo arrivo in neroverde una serata magica per il giocatore simbolo della scalata dalla C2 alla massima serie

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di Stefano Fogliani

SASSUOLO

"La prima che ho pensato entrando in campo oggi?". Non fa in tempo a dirla, il capitano, perché la sua voce viene sommersa dagli applausi. Ma poi la dice, e dice che "è bello essere qua, con la mia gente, i tifosi, i miei compagni e i miei amici, dentro una bella giornata". Chissà se quando arrivò a Sassuolo, una sera di luglio del 2005, a bordo di una Polo blu, ‘usata ma tenuta bene’, che parcheggiò sotto la sua prima abitazione di via Doninzetti, aveva idea che avrebbe legato se stesso a Sassuolo, e al Sassuolo, per quasi metà della sua esistenza.

Facile di no, visto che il Sassuolo era in C2, lui un carneade con un pugno di presenze tra i pro e la città ammettiamolo, non è Versailles, ma evidentemente doveva andare così e così è andata. I primi anni nello spogliatoio li ha condivisi con Pomini e Masucci, che salgono per primi con lui sul palco, ricordando di quando il capitano, appena strinato dall’eliminazione ai playoff con il Monza, stagione 200607, si tatuò un’araba fenice: giocano entrambi in B, oggi, mentre di Maganelli si sa. È andata, lo sappiamo, che Magnanelli – fu uno dei due acquisti con cui il Sassuolo salirà, stagione 200506, in C1, ma quello bravo era l’altro, Luca Baldo, di cui il centrocampista umbro sarebbe dovuto essere il rincalzo – del Sassuolo è diventato prima giocatore, poi capitano, infine simbolo, e di Sassuolo cittadino onorario.

E il Sassuolo, il ‘brutto anatroccolo’ che prima dell’era Mapei si dibatteva nei bassifondi della C2, un cigno in grado di dire la sua in A da 10 stagioni, con parentesi europea a impreziosirne il curriculum. Se dici Magnanelli, insomma, dici Sassuolo, e soprattutto Sassuolo Calcio, e tutto si tiene dentro questa serata che la Sassuolo neroverde ha voluto per celebrare il suo figlio più amato: questione di feeling, scoccato forse proprio in quel luglio del 2005 che lo vide presentarsi al Ricci per il primo allenamento non più sulla Polo, parcheggiata nel frattempo, ma su una bicicletta presa a prestito a Remo Morini, che a lui come a tanti giovanotti transitati ha fatto da babbo e da fratello maggiore.

Dal palco Magnanelli racconta quanto si sa di lui e del suo percorso, soffermandosi sul 18 maggio 2013 ("storico") ma soprattutto su quegli inizi che, dice Magnanelli, "ricordo bene, quasi come fosse ieri". Diciassette anni e 520 partite dopo il cerchio si chiude, ma mica del tutto, perché il feeling tra Magnanelli, il Sassuolo e il neroverde si è consolidato, ha resistito a tutto – comprese tentazioni che avrebbero potuto interromperne l’avventura sassolese – raccontando una di quelle favole che il pallone di oggi non racconta più, e se resta scolpito nel passato, trova nuova scrittura nel presente, ovvero nell’oggi che vede il capitano (quello è e quello resta, il Puma, anche se ha appeso le scarpe al chiodo) arruolato nei quadri tecnici di una società che ieri ha scelto comunque di celebrarne la figura con il ‘Magnanelli Day’ andato in scena ieri al Ricci.

Una liturgia laica cui la Sassuolo neroverde non si è sottratta, partecipe e a tratti commossa di fronte al numero 4 che, visibilmente emozionato, non avrà solo quanto fatto in campo da raccontare un domani ai nipotini, ma anche di quando il ‘suo’ stadio e la ‘sua’ Sassuolo si sono alzati in piedi, a più riprese, per applaudirlo come meritano tanto il giocatore quanto l’uomo. Che era, è e resta neroverde. Resta, e ricomincia, il Puma, "felice di restare, e grato alla società che mi ha dato questa opportunità: mi metto a disposizione sono contento che il mio dopo calcio cominci da qui". E, verrebbe da aggiungere, non avrebbe potuto essere diversamente, o altrove: le favole, del resto, se non hanno un lieto fine non sono favole. O no?