{{IMG_SX}}Urbino, 20 novembre 2007 - Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la cultura e biblista di fama internazionale, oggi a Urbino per ricevere una laurea honoris causa in sociologia e antropologia delle religioni, conferitagli dall'Università 'Carlo Bo' per le sue doti di divulgatore della Bibbia, si è soffermato anche su temi di attualità. ''Bisogna ritrovare un senso della persona, della dignità delle relazioni umane - ha detto -. L'esplosione delle relazioni in forme a volte violente'', come nel caso degli ultras del calcio, ''avviene perché già le relazioni precedenti sono affidate quasi esclusivamente o a banalità o a realtà superficiali o già a tensioni''.


''Non c'è più la capacità dell'ascolto reciproco, del rispetto - ha aggiunto il cardinale -. La società attuale, pur possedendo tanto, avendo tanto, alla fine ha bisogno ancora dei grandi simboli, ed essi non sono vissuti con serenità perchè sono simboli aggressivi. In passato - ha osservato monsignor Ravasi - c'erano anche manifestazioni pubbliche con il coinvolgimento delle masse, che però conservavano in sé qualche valore simbolico più profondo''.

L'invito è dunque a ''ritrovare i grandi segni, che non siano di scontro e di tensione, ma di creatività''. Monsignor Ravasi ha svolto la sua lectio magistralis sul tema ''La Bibbia come grande codice della cultura occidentale'', senza sottrarsi a domande sul rapporto dell'Occidente con la religione islamica. ''L'Islam - ha ricordato - ha alle spalle un lungo legame con le scritture ebraiche e cristiane. Tanto è vero che il Corano stesso è attraversato da figure e da temi biblici. Direi che ci sono alcuni valori talmente fondanti all'interno della tradizione biblica che possono essere ritrovati come valori umani universali e quindi come base per un dialogo tra religioni e culture cosi' profondamente diverse tra di loro''.


''La Bibbia - ha aggiunto - è l'alfabeto colorato della speranza, come diceva Marc Shagall, dove hanno intinto per secoli il loro pennello tutti gli artisti; cioè il grande codice di riferimento della cultura dell'Occidente e non solo per la cultura religiosa''. Il cardinale ha citato i comandamenti come decalogo per l'etica, per la vita quotidiana, ma anche per la cultura alta. ''Ritrovare ancora questa lontana sostanza del nostro pensiero, della nostra cultura, vuol dire ritrovare un po' la nostra identità, il nostro volto più nobile e più profondo''.