Fano (Pesaro), 19 dicembre 2011 - NEANCHE fosse Valentino Rossi, Athos Rosato, l’imprenditore ittico fanese, il re delle vongole accusato di corruzione nell’inchiesta di Fiscopoli per aver pagato nel 2008 una maxi tangente da 240 mila euro per farsi annullare un accertamento da 32 milioni. Ora sempre il Fisco, annuncia di aver vinto in appello il ricorso contro le decisioni della «vecchia» (ma soprattutto... demolita dall’inchiesta della procura pesarese), commissione tributaria di Pesaro, che aveva accolto a suon di mazzette in moltissimi casi i ricorsi dei vari imprenditori. E questa vittoria del Fisco ha un numero: 55 milioni. E’ il conto che la Commissione tributaria regionale delle Marche ha presentato a due società operanti nel commercio all’ingrosso di prodotti della pesca — quelle facenti capo appunto a Rosato — accogliendo la tesi dell’Ufficio delle Entrate di Fano.

«La sentenza dei giudici di secondo grado — si legge nella nota dell’agenzia dell’Entrate — ha integralmente riformato le decisioni della commissione tributaria di Pesaro, le cui pronunce favorevoli erano finite nel mirino della Procura nell’ambito dell’inchiesta “Fiscopoli”». «Era stata l’incongruenza tra redditi dichiarati e investimenti — ricostruisce l’Agenzia — a innescare le indagini finanziarie e i successivi controlli del Fisco nei confronti delle società. L’analisi delle movimentazioni bancarie aveva consentito di determinarne i redditi prodotti e di imputare a carico dei soci gli utili come compensi assimilati a redditi da lavoro dipendente. Secondo l’Ufficio, le operazioni sui conti delle società erano riferibili ad attività non dichiarate o comunque derivanti dalla sottofatturazione dei ricavi prodotti per le cessioni intracomunitarie effettuate verso la Spagna. Questa prima serie di sentenze della Commissione tributaria regionale ha premiato l’impegno della Direzione regionale delle Marche che ha attivamente collaborato con gli inquirenti per fare emergere gli episodi sospettati di corruzione. Le indagini condotte dalla Procura di Pesaro, infatti, hanno permesso di accertare circa 50 sentenze “truccate”, per un importo complessivo intorno ai 150 milioni di euro, tutte appellate in secondo grado dall’Ufficio di Pesaro con il coordinamento della Direzione Regionale».

COME NOTO, Rosato (difeso da Francesco Coli) ha patteggiato due anni per il reato di corruzione, oltre da aver subìto la confisca a favore dello Stato di tutti i suoi beni (il capannone di Bellocchi, la casa ecc..). Da quei 32 milioni di euro contestati a Rosato inizialmente fino ai 55 di cui parla la nota, il passo, aggiungendo ulteriori sanzioni, interessi ecc è stato tutto sommato breve.