Urbino, 15 luglio 2012 - INTELLETTUALE, laico e progressista, questo era Federico Coen morto a Roma il 7 luglio, dopo una vita spesa a sostegno del principio della laicità dello Stato, del valore irrinunciabile dell'onestà intellettuale e in difesa dei diritti di chi non ha voce.

«Non amava - scrive Maria Mantello nella rivista di filosofia e politica Micro Mega - i servili e i disonesti, questo burbero-tenero gentiluomo che non si sottometteva ai giochi di potere e che anzi li avversava con disprezzo».

E infatti, pur essendo componente della direzione del Partito socialista , preoccupato per la rovina cui andava incontro il Paese, disgustato dagli intrallazzi craxiani, non si peritò di distaccarsi dal partito sbattendo la porta ad un Bettino Craxi allora potente. Era il 1984 e lasciava, dopo dodici anni, la direzione della rivista MondOperaio cui aveva dato un notevole spessore politico e culturale.

Con il dissidente cecoslovacco Antonin J. Lielun fonda l'edizione italiana della prestigiosa rivista europea Lettera Internazionale che dirigerà sino al 2009. Socio dell'Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno", restano famosi i suoi interventi volti a rivendicare l'assoluta necessità di un'onestà intellettuale ed amministrativa.

Forte nella lotta, fragile nei sentimenti, con la fine dell'amata Avril, comincerà il suo declino. Da più parti si lamenta la scarsa risonanza data alla notizia della sua morte, a parte il sommesso telegramma del Presidente della Repubblica, ma Federico era un personaggio scomodo, da vivo e da morto.

Era nato a Roma 83 anni fa, ma la sua formazione è il risultato dell'eredità morale della famiglia urbinate del padre Emilio, avvocato, figlio di quel Federico Coen che tanta parte ha avuto tra '800 e '900 nella vita pubblica della città feltresca. Assessore al Comune di Urbino fu tra i promotori e generoso sostenitore della Società di Mutuo Soccorso, del Monumento a Raffaello, delle Terme di Petriano e dell'Asilo Valerio e fondatore della Banca Metaurense. Quando la crisi europea di fine '800 ne causa il fallimento, consapevole della fiducia che i risparmiatori avevano riposto in lui, Federico, che pure aveva nove figli, vende tutte le sue proprietà per risarcirli.

L'unico fallimento della storia, si disse, «in cui nessuno perse neppure un soldo», ma finì sul lastrico tanto che la figlia Clelia, andata sposa al Cav. Arturo Moscati, restituì al padre i due terreni avuti in dote, perché i fratelli potessero completare gli studi. Pure il padre di Federico, Alessandro, dalla segregazione del ghetto viene eletto nel primo consiglio comunale di Urbino il 4 gennaio 1861, il giorno successivo riceve la cittadinanza onoraria d'Urbania «...per sé e la sua discendenza, per il generoso impegno nelle lotte per il Risorgimento... benemerito alla causa italiana».

Ma anche l'esempio del trisavolo della famiglia materna di Emilio ha contribuito a maturare in Federico una coscienza sociale. Giuseppe Coen infatti, stimato in Urbino per la sua onestà, fu eletto nel primo Consiglio Comunale con 90 voti, quando gli ebrei votanti erano appena 28. Apprezzato per la sua generosità e il suo profondo senso di giustizia nell'assumere lavoranti alle Conce, valutando le reali necessità dei singoli, era così amato che il popolino aveva coniato per lui il proverbio «accidenti a tutti i ricchi, salvando Peppin Coen». Alla sua morte, nel 1892, la stampa locale gli dedica intere pagine e in quella del Corriere Metaurense, dopo aver sottolineato che «...ha efficacemente cooperato in Urbino ad affrettare i tempi nuovi...» si legge «di uomini di questa fatta par che si vada perdendo lo stampo».

Parole che ben si addicono oggi al pronipote Federico Coen.

di Maria Luisa Moscati Benigni