8 settembre 1860, i Finanzieri liberano Urbino La città voltò pagina per abbracciare l’Italia unita

Ricorre domani l’anniversario dello scontro con le truppe del pontefice. L’unico ferito fu in piazza, sotto i portici del Collegio Raffaello

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di Tiziano V. Mancini

Lunedì 7 settembre 1860. Dopo quasi duemila anni, ancora una volta il gesto di attraversare da nord a sud un fiume della Romagna sarebbe passato alla Storia. Ma se il Rubicone la segnò per la Roma di Cesare, il Tavollo, che separa oggi Cattolica da Gabicce e la Romagna dalle Marche, allora stabiliva il limite nord dello Stato della Chiesa e quella mossa avrebbe determinato le sorti della città di Urbino e non solo.

"Quel giorno, a varcarne le sponde furono alcune centinaia di volontari, detti “Cacciatori del Montefeltro“" ci racconta Federico Marcucci, addetto alla gestione del Fondo Antico dell’Università di Urbino ed esperto di storia locale "la maggior parte dei quali, poco meno di un centinaio, erano finanzieri romagnoli guidati dal Capitano Giuseppe Clementi di Ancona e dal Conte Gommi-Flamini di Ferrara ai quali si erano uniti patrioti marchigiani e romagnoli, tutti uniti dal fuoco sacro, raccontano le cronache del tempo, di “por fine al giogo pontificio“ penetrando nel territorio dello Stato della Chiesa. Secondo quanto riportato in particolare nell’opera “Urbino 1860“ di Raffaele Molinelli, scritta nel 1961 per la mostra allestita da Luigi Moranti sul “Contributo urbinate al Risorgimento“, una volta raggiunta Mondaino, questi mossero verso Urbino non senza qualche episodio emblematico delle difficoltà di coordinamento tra forze eterogenee: attraversando il Foglia, la colonna prevista si dispose talmente a semicerchio che quelli dell’avanguardia si trovarono di fronte a quelli di coda scambiandoli per papalini, dando il via a uno scontro a fuoco “amico“ che per loro fortuna non ebbe conseguenze se non un ferito lieve".

Ma intanto a Urbino la situazione com’era?

"Erano giorni di grande fermento, come in tutte le Marche e l’Umbria, dopo il beneplacito di Napoleone III alla loro occupazione da parte dell’esercito sabaudo, anche a causa dell’odio dell’Imperatore di Francia per il comandante delle truppe pontificie, Christophe de Lamoricière che sarebbe stato sconfitto il 18 settembre nella battaglia di Castelfidardo. A Urbino, i papalini erano stati avvertiti del pericolo in arrivo ed erano usciti in sortita dalla città, disponendosi nella zona compresa oggi tra la Tortorina e il colle della Madonna di Loreto. Ma il ritardo degli insorti a spuntare da Pallino, anche a causa del contrattempo descritto, fu tale che i difensori della città si decisero a tornare entro le mura. In realtà, la mattina dell’8 settembre, finanzieri e insorti si presentarono finalmente alla Porta di Santa Lucia al grido di “Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele!“ e intimarono la resa alla guarnigione posta a difesa della città, la quale in sostanza non oppose grande resistenza e cedette praticamente alla sola forza delle ragioni che la Storia stava rendendo ineluttabile, oltre al paventato arrivo di 30mila soldati sabaudi condotti dal Generale Cialdini. Fatto sta che le porte della città vennero aperte e gli insorti, finanzieri in testa, poterono entrarvi trionfalmente non senza alcuni scontri che ebbero il loro culmine nella piazza cittadina e sotto il porticato del Collegio Raffaello. Durante questo scontro, un certo Luigi Marcucci detto “Zapparino“, sparò dall’imbocco di via Lavagine a un sergente pontificio, ferendolo al petto. Ciò valse la definitiva resa dei papalini, che pure non godevano fama di intemerati, tanto che ancora oggi si tramandano detti come “I soldati del Papa, in otto per cavare una rapa“ o “Il Generale del Papa dice: oggi si marcia, tempo permettendo!“. E proprio in quel punto emblematico della città ducale, nel 2011 il Comitato di Pesaro e Urbino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano ha collocato la targa seguente: "Nel Centocinquantesimo anniversario dell’insorgenza nazionale di Urbino e della resistenza pontificia al Porticato Clementino, la città conciliata ricorda le opposte fazioni da cui nacque la casa comune italiana".

Una testimonianza che si aggiunge all’altra lapide che accoglie gli ospiti di Urbino dalla porta di Santa Lucia, destinata a ricordare per sempre i protagonisti di quella liberazione: "Primi ad entrare in Urbino insorta furono i finanzieri, avanguardia dei volontari". Era l’8 settembre 1860, martedì.