
Afa e malori, pronto soccorso pieno E scatta la rabbia per le attese: "Taglio alla testa, sono qui da 4 ore"
di Roberto Damiani
I pazienti visti e trattati nelle ultime 24 ore sono stati 139. E’ scritto nello schermo luminoso, modello stazione dei treni, che sovrasta la sala d’attesa del pronto soccorso del San Salvatore di Pesaro. Dove ci si accorge subito di un pregio: l’aria condizionata funziona perfettamente. Ma questo non rallegra chi si trova lì per forza maggiore. La maggior parte sono per ipotensione e difficoltà respiratorie che hanno la precedenza. Lo confermano i medici.
Ma gli altri? Come il signor Umberto, mascherina al viso, seduto in prima fila con la moglie accanto. L’orologio segna le 12.15. Dice la signora: "Siamo qui da stamattina alle 7, lo hanno visitato, preso il sangue, e poi ci hanno parcheggiato qui in attesa degli esiti e dell’arrivo di un dottore per la visita. Siamo esausti, non si può pensare che dalle 7 uno rimanga in attesa di un’analisi del sangue. Non lo ritengo giusto".
Dietro è seduta un’altra paziente, Katia, che dice: "Io sono qui dalle 6.30, mi hanno fatto la prima visita e prelievi e ora aspetto l’esito. Non me la sento di dire che il servizio non funziona. Credo, anzi ne sono convinta, che facciano quello che possono per svolgere il loro lavoro. C’è da aspettare perché è normale che sia così e io aspetto. Qui ci sono 50 persone. Mi sembra normale tutto quello che vediamo". Poco più in là, c’è il signor Massimo che dice: "Sono qui dalle 7.30 e non so niente. Mi alzo e vado a vedere". Una signora spiega i motivi che l’hanno spinta a ricorrere al pronto soccorso, "Mio marito ha avuto un calo di pressione importante. Adesso lo stanno trattando e trattenendo nelle stanze del pronto soccorso. Non so più nulla da almeno due ore".
Un uomo col padre in carrozzina si sente di dire: "Preferisco non parlare, ho litigato qualche ora fa con medici e infermieri e siamo ancora qui. Meglio che non dica niente". In fondo alla sala, quasi rassegnato, c’è un ragazzo, Francesco, che tiene un fazzoletto sulla testa da dove esce sangue. Accanto a lui c’è la madre. Che protesta: "Mio figlio stamattina presto ha avuto un incidente nell’orto. Gli è caduto addosso un pezzo di lamiera di un capanno e gli si è aperta una ferita profonda alla testa. Siamo venuti al pronto soccorso. Gli hanno dato da tenere un fazzoletto nella testa rimandandoci a sedere. Sono passate quasi quattro ore, a lui fa male la testa, continua a sanguinare e nessuno lo chiama. Andremo a Cattolica o a Rimini perché così non è normale. Se gli prende un’infezione alla testa poi viene in tempo a fare qualcosa?".
In piedi, dolorante, appoggiato al muro, c’è Saikou, un giovane gambiano in Italia da sette anni. Parla molto bene l’italiano e racconta che cosa gli sta succedendo: "Ho delle cisti che si creano di continuo e mi fanno molto male. Vanno sciolte facendo uscire il pus ma devo farlo in ambiente giusto. Sono arrivato alle 10, ho pregato di farmi l’incisione ma non mi hanno nemmeno ascoltato. Sono oltre due ore e mezza che sono in attesa ed ho un dolore tremendo. Perché ci trattano così?".
Al di là del vetro del triage, ci sono setteotto persone in barella, quase tutte anziane. Altri, tra cui molti giovani, sono sparsi nelle varie stanze. Un infermiere di mezza età con i capelli a coda di cavallo si affaccia ogni tanto in sala d’attesa e dice qualcosa richiudendo velocemente. La gente, ogni volta, alza gli occhi al cielo con aria rassegnata.